Scritto da © Fausto Raso - Mer, 10/10/2012 - 00:23
“Non dar retta a quella stupida credenza”; “Apri la credenza e prendi i bicchieri”. Il nostro viaggio alla scoperta di parole omofone (stessa pronuncia) e omografe (stessa grafia) ma di significato diverso ci porta al termine “credenza”, appunto.
La nostra lingua è davvero strana! Nel primo caso la credenza ha il significato di “convinzione”, “fede”, “opinione, “fiducia”, “dottrina” e simili. Nel secondo caso, invece, il termine in questione è adoperato per indicare il mobile in cui sono custoditi i cibi, le stoviglie, le posate e quanto altro occorre per imbandire la tavola. Entrambi i termini, però, hanno la medesima origine: discendono dal verbo “credere”; sono, quindi, dei deverbali.
Tralasciamo la “spiegazione” della prima accezione, perché ci sembra superflua, e parliamo della credenza come mobile della casa. Per comprendere bene la relazione che intercorre tra il verbo credere e il mobile (la credenza) è necessario tornare indietro nel tempo, esattamente al Medio Evo. In quel periodo storico le mense dei nobili non erano “sicure”: il rischio di morire avvelenati era un fatto, potremmo dire, di normale amministrazione. Per scongiurare questa trista eventualità i signori si erano circondati di persone che avevano l’ingrato compito di assaggiare la pietanza prima del nobile in modo che quest’ultimo potesse “credere” che cibi e bevande erano assolutamente privi di... veleno. La cerimonia dell’assaggio era chiamata “dar la credenza” o “far la credenza”.
Se l’ “assaggiatore” restava ritto sulle proprie gambe il signorotto era sicuro che quanto ingeriva non lo avrebbe portato a sicura morte.
Da questa cerimonia il nome del mobile che conteneva le posate e i cibi destinati al nobile palato ed entrato, ormai, nell’uso corrente.
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Simile alla credenza è il caso di fesso con due significati ben distinti. Se apriamo un qualsivoglia vocabolario alla voce in oggetto, leggiamo: “rotto”, crepato per il lungo” (un vaso fesso, cioè rotto); “imbecille”, “stupido”. Che relazione intercorre tra l'imbecillità e la rottura, visto che il termine ‘fesso' presenta queste due accezioni? Apparentemente nessuna. Proviamo, però, a risalire all'etimologia. Nel significato di ‘rotto' fesso non è altro che il participio passato (con valore aggettivale) del verbo “fendere” (tagliare, spaccare, oppure ‘attraversare cosa fitta e folta': fendere la folla, fendere l'acqua); nel significato, invece, di ‘stupido', ‘imbecille', ‘sciocco' è voce napoletana derivata da “fessa”, cioè da vulva. Chissà perché, nell'opinione popolare, gli organi genitali sono sempre stati sinonimi di stupidità. La “fessa”, comunque, non è una piccola fessura del corpo? Ecco, quindi, la relazione che – a nostro personale parere – intercorre tra il fesso, inteso come ‘rotto' e il fesso nell'accezione di ‘stupido’ e simili.
Fausto Raso
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