Scritto da © Fausto Raso - Mer, 23/03/2016 - 12:52
Scrive Paul Laffite: «Un idiota* povero è un idiota, un idiota ricco è un ricco». Voi quanti ricchi conoscete? Bando agli scherzi; oggi questo termine, vale a dire idiota, ha assunto – come tutti sappiamo – l’accezione dispregiativa; in origine non era affatto così.
L’idiota, stando all’etimologia, è colui che conduce una vita privata, fuori della società e dei pubblici impieghi perché deriva dal... latino idiota, tratto dal greco (idiòtes), che significa, propriamente, particolare, privato; colui, quindi, che mena una vita privata, particolare, appunto. Un privato cittadino, per tanto, stando alla lingua, è un perfetto idiota, al contrario di alcuni politici che non possono assolutamente essere considerati... idioti, anche se...
Con il trascorrere del tempo il significato originario del termine, cioè di colui che vive in disparte, da privato, si è tramutato in uomo rozzo, ignorante, demente perché l’idiota vivendo, appunto, da privato, non ha possibilità di affinare le sue capacità cerebrali. Da idiota, cioè da stupido, sono stati coniati i termini medici idiozia e idiotismo, vale a dire «gravissimo arresto delle facoltà intellettive che si manifesta in modo totale o parziale».
Da non confondere, a questo proposito, l’idiotismo medico-scientifico con quello linguistico, anche se l’origine dei due termini, come si può intuire, è la medesima. L’idiotismo linguistico, per usare le parole dell’illustre linguista Aldo Gabrielli, «è il sale e il pepe di una lingua».
Deriva dalla voce greca "idiotismòs", tratta dall’aggettivo "ìdios", (mio, particolare, proprio) ed è, quindi, quella parola o quel modo di dire che si discosta dalle leggi della grammatica ed è propria (idios) di una lingua o di un dialetto, di una regione o di una provincia. È, insomma, una parola che spurgata della sua volgarità (idiotismòs significa anche parlo volgare) entra a pieno titolo nel patrimonio linguistico nazionale, e noi tutti la adoperiamo quotidianamente senza pensare minimamente alla sua volgarità originaria.
La nostra bella lingua è ricchissima di idiotismi; il taccheggio, per esempio, termine tanto di moda oggi, è uno di questi. I vocabolari lo definiscono «furto commesso da chi, in un negozio, sottrae clandestinamente ciò che gli capita a portata di mano». Alcuni lo fanno derivare dall’accezione gergale di tacca (truffa): i negozianti di un tempo erano soliti segnare i debiti dei clienti (che molto spesso non pagavano) con tacche su un’apposita tessera. Da tacca è stato coniato il verbo taccheggiare, cioè... rubare.
Fausto Raso
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