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Attenzione al "dalfonismo"

Con il termine “dalfonismo” – coniato a bella posta sulla scia di “daltonismo”, vocabolo con il quale si indica un difetto della vista per cui non si distinguono alcuni colori, in particolare il rosso e il verde (dal nome dello scienziato inglese che nell’Ottocento studiò questa malattia) – ci piace indicare una “malattia linguistica” di cui soffrono molti ‘dicitori’ delle radiotelevisioni: pronunciano in modo errato alcune parole, sbagliano, cioè, l’accentazione di certi vocaboli, in particolare la pronuncia esatta di alcuni “fonemi” (termine di origine greca che alla lettera vale “suono della voce”).
Il “dalfonismo”, quindi, vale a dire l’errata pronuncia, a volte può addirittura cambiare il significato delle parole; si pensi, per esempio, alla vocale “e” che può avere un “suono” chiuso o aperto come in “vénti”, aggettivo numerale e “vènti”, plurale del sostantivo vento; oppure ad “accétta”, la scure e “accètta”, voce del verbo accettare. Ma lasciamo questi esempi che tutto sommato non “disturbano” (ma non per questo non sono da condannare) in quanto dal contesto del discorso si capisce benissimo se il giornalista o l’annunciatrice sta parlando di numeri o di… vènti nelle previsioni meteorologiche.
Ciò che a nostro modesto parere disturba moltissimo è il “dalfonismo” in parole che non si prestano a diverse interpretazioni. Vediamo, quindi, alcuni “dalfonismi” di uso comune, cosí come ci vengono alla mente.
Cominciamo con il “dalfonismo” di taluni medici: catètere. La pronuncia corretta è catetère, con accentazione piana, l’accento, cioè, deve cadere sulla penultima sillaba. Questo perché occorre rispettare l’accentazione originaria latina, “cathetíre(m)”, dal greco “kathetèr”.
E che dire della forma “dalfonica” diatríba in luogo della pronuncia corretta diàtriba, con l’accento tonico sulla “a”? O di alchimía invece di alchímia, con la prima “i” tonica? A questo proposito ci dispiace dover constatare la “permissività d’accentazione” di alcuni autorevoli vocabolari. Ma tant’è.
Ma ciò che ci lascia veramente di stucco è il “dalfonismo” che riscontriamo in persone acculturate e “di prestigio” che sovente calcano le scene radiotelevisive là quando dicono, per esempio, che “io non vàluto questo fenomeno”, vale a dire quando mettono l’accento sulla “a” e non, correttamente, sulla “u”. La “u” del verbo valutare – come tutti i suoi composti – deve essere tonica (accentata nella pronuncia) in alcuni casi nel corso della coniugazione perché è un verbo denominale, viene cioè dal sostantivo “valúta” e in quanto tale deve conservare la medesima accentazione del nome dal quale deriva: io valúto, tu valúti, ecc.
Questa, a nostro avviso, non è pedanteria. Vogliamo semplicemente ristabilire una “verità linguistica” calpestata da tutti coloro i quali attraverso i cosí detti mezzi di comunicazione di massa si piccano di “fare la lingua”.
Tempo fa, un notissimo quotidiano romano parlava, in una pagina di cronaca, di un batterio “immune agli antibiotici”. Ecco la lingua che divulga la stampa! Questo non è un caso di “dalfonismo”, è “analfabetismo linguistico” bell’e buono. Immune, chi non lo sa, si costruisce con la preposizione “da”: immune ‘da’ influenza. La frase del giornale contiene due gravi errori: uno di costruzione grammaticale (e lo abbiamo visto), l’altro di concetto. Immune significa “non soggetto a subire il contagio”. Gli antibiotici sono una malattia? Non ci sembra proprio. L’ “opinionista” del quotidiano avrebbe dovuto scrivere, correttamente, “resistente agli antibiotici”.
Ma non divaghiamo e torniamo ad alcuni “dalfonismi” da evitare. Tra i piú comuni citiamo: leccòrnia (si pronuncia leccornía); rúbrica (correttamente rubríca); guàina (corretto guaína); cosmopòlita (voce corretta cosmopolíta).
Ci fermiamo, non vogliamo annoiarvi oltre. Nel caso vi avessimo tediato, però, potrete rilassarvi e ridere cliccando su:
 
 
Fausto Raso
 
 

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