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Andiamo al cinema, ma non mascherati

Grandissima fu la delusione di Valentino – il figliolo di un nostro carissimo amico – quando, entrando nella sala cinematografica, constatò che il personale che lo aveva accompagnato al suo posto non era affatto… mascherato (come lo aveva immaginato nella sua mente infantile). Era la prima volta che metteva piede in un locale del genere e il padre gli aveva assicurato che una “maschera” lo avrebbe accompagnato – con una lampada a pila – durante il tragitto in sala.
“Vedrai – gli aveva detto – una maschera ci accoglierà all'ingresso e ci accompagnerà ai posti che le indicheremo”. La delusione del piccolo Valentino, quindi, era motivata e giustissima. Il nostro amico, però, non fu in grado di spiegare al figlio – che ebbe un'altra delusione – la ragione per la quale il personale dei teatri e delle sale cinematografiche addetto al controllo dei biglietti e all'accompagnamento degli spettatori si chiama, appunto, “maschera” ma non è affatto… mascherato.
Cercheremo di farlo noi – con la speranza che l'amico ci legga e lo spieghi al figlio – con le parole di F. Chiappini: “Sino alla fine del secolo diciottesimo quelli che avevano questo ufficio (gli accompagnatori dei teatri, ndr) portavano la maschera sul viso per poter giudicare con maggiore libertà le differenze insorte tra gli spettatori nel prender posto, e per evitare quindi le recriminazioni che avrebbero potuto aver luogo se fossero stati riconosciuti”. Oggi il personale dei teatri ( e dei cinematografi) – come dice il Tommaseo – “non ha più mascherato il viso, ma qualche segno che lo distingua”.
Per quanto attiene alla maschera vera e propria, cioè il “finto volto di materiale vario, usato per alterare i lineamenti o per non farsi riconoscere”, l'etimologia è alquanto incerta.
Alcuni Autori ritengono che derivi dal latino medievale “masca” (strega) con l'aggiunta del suffisso “-era”. Le streghe, infatti, sono sempre rappresentate con volti dai lineamenti deformi o orripilanti, tipici, appunto, di alcune “maschere”.
E a proposito di streghe, vale a dire di “donne che, nella credenza popolare, sono ritenute in rapporto con le potenze malefiche e accusate di azioni delittuose contro la religione e la società” e, per estensione, donne malvagie, brutte e vecchie, riteniamo altresí interessante “vedere” l'etimologia che ci rimanda – come il solito – al… latino: “striga(m)”, variante popolare di “strix” (uccello notturno, gufo) e con molta probabilità di origine onomatopeica.
 
Fausto Raso
 
 

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