Andare, dunque, appartiene alla schiera dei così detti verbi irregolari perché nel corso della coniugazione cambia il tema “and” in “vad”; il primo gli è proprio, nel senso che gli appartiene; il secondo è tratto dal verbo latino “vadere” e si coniuga con l’ausiliare essere. Il futuro e il condizionale (andrò, andrei) sono le forme sincopate delle voci “regolari” anderò e anderei. Queste ultime non sono affatto errate – come sostengono alcune grammatiche – sebbene sia meglio lasciarle alla lingua parlata e alle composizioni poetiche. È tremendamente errato, invece, l’accento che alcuni mettono sulla terza persona singolare del presente indicativo: egli và. Una legge grammaticale stabilisce, infatti, che i monosillabi composti con una consonante e una vocale non debbono essere accentati (eccetto qualche caso particolare): va (senza accento).
E veniamo al composto “riandare”, causa del “contenzioso” tra l’insegnante e lo studente, con “vittoria” di quest’ultimo. È superfluo ricordare il fatto che il verbo in questione è formato con il prefisso “ri-”, indicante la ripetizione dell’azione, e con il verbo “andare”. Ciò che è importante conoscere, invece, è il fatto che detto verbo può essere sia transitivo sia intransitivo e può seguire e la coniugazione regolare e quella irregolare (io rivado, io riando). Naturalmente secondo precise norme. È intransitivo e coniugato con la forma irregolare quando significa “andare di nuovo”, “ritornare in un luogo”: rivado a Parigi; sono riandato a Parigi. È transitivo e coniugato secondo la forma regolare (sempre il tema “and”) quando ha il significato di “ripercorrere con la memoria”, “tornare con la mente sulle cose passate”: gli anziani riandano i casi della loro vita. Lo studente, quindi, ha ripercorso con la memoria la sua infanzia. Bene. E con trasandare, gentile professore, come la mettiamo? Secondo lei la forma corretta è “io trasvado” essendo un composto di andare? Ma non diciamolo neanche per ischerzo! Trasandare è regolarissimo: io trasando, tu trasandi, essi trasandano. E sempre a proposito del verbo andare, è bene fare alcune considerazioni al fine di adoperarlo sempre correttamente. Andare, dunque, significa, in senso generico, “spostarsi”, “andare da un luogo a un altro” e può voler dire, di volta in volta, “camminare”, “recarsi”, “dirigersi” e molto spesso è contrapposto a venire. Bene. Nei casi specifici ci sembra “più opportuno” dal punto di vista prettamente linguistico-grammaticale adoperare il verbo… specifico in luogo del “tuttofare” andare. Diremo, quindi, che Giulia “si è recata” a scuola invece della forma poco ortodossa “è andata”. Così come diremo che Luigi “è partito” per Venezia in luogo della forma “popolana” “è andato”. Ma questa, forse, è solo una nostra pedanteria.
È adoperato correttamente, invece, in alcune locuzioni particolari; anzi, in alcuni casi il verbo andare dà un tocco di classe ai nostri scritti. “Andare per le lunghe”, infatti, è meglio che “procedere molto lentamente”, “indugiare troppo”. Concludendo: il verbo andare è indispensabile per la formazione dei così detti modi di dire come, per esempio, “andare a genio”, vale a dire soddisfare, piacere.
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