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Falsi Paradisi

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La vita è mistero e magia quando lasciamo aperte le porte sull'infinito, quando siamo disponibili ad imparare nuove lezioni, quando rinunciamo a patologici fanatismi che ci precludono l'acceso a strade meno battute; quando neghiamo al nostro cuore la possibilità di aprirsi alla meraviglia di ogni istante di vita vissuto con sincerità.

Aldous Huxley sosteneva che l’essere umano è un anfibio multiplo dotato del privilegio di vivere in più mondi, ma spesso rimane imprigionato in un unico mondo che alla fine diventa la sua angosciante bara-prigione, e quel che peggio è che molto spesso non l'abbiamo scelta liberamente e consapevolmente: è solo il risultato di una serie di condizionamenti e di bisogni inconsci.

Non ci si chiede mai abbastanza quanto siano l’amore e la fiducia a determinare le nostre scelte piuttosto che la paura e la mancanza di autentica fede nella vita. Nel momento in cui l’uomo si è gradualmente dissociato dall’identificazione con la natura e con il proprio corpo, ha dovuto inventarsi surrogati di vita e di spirito: Ovunque, siamo circondati da falsità: Falso cibo, falsa bellezza, falsa fede, falsi corpi, false identità fasulle, falso amore, falsi valori.

Nell’attimo in cui la vita ha smesso di essere il valore primario i suoi surrogati assurgono al livello di divinità; di fatto siamo una cultura di feticisti non più animisti ma intrisi di bieco inguaribile materialismo, che ambiscono a pseudo felicità mentre si soppravive nel più totale stato di disperazione.

Secondo la religione, le sofferenze umane derivano dal fatto che l'uomo si è ribellato al Creatore. Per conoscere veramente la felicità ci viene raccomandato di tornare a Dio; tuttavia, anche il messaggio religioso tende a sottolineare che l’uomo in, non ha alcuna possibilità di essere felice. Può esserlo soltanto rimettendo questa capacità fuori di se, nelle mani di qualcun altro: in questo caso, di Dio. È una visione in cui la vita è  sofferenza e Dio, il creatore crudele che ha creato l’uomo privandolo della possibilità di essere felice, a meno che non si ricongiunga con Lui.

Questa attesa della felicità con le mani in mano, si rivela uno dei messaggi più subdoli della nostra cultura, il mondo è malato di guerre, di sofferenze, di delitti, la terra è rovinata dall'inquinamento eppure la nostra Società si sforza di comunicarci che la felicità esiste ed è acquistabile e acquisibile attraverso beni concreti.

Secondo  questo assurdo modo di pensare, la felicità è quindi considerata un risultato. Ne consegue che soprattutto per le nuove generazioni di adolescenti, ma non solo, gli obiettivi considerati desiderabili sono il possesso, il divertimento ad ogni costo, il narcisismo di sentirsi invidiati dagli altri, la vanità dell'ostentazione.

Dovremmo profondamente interrogarci su quanta fatica dovranno fare gli adulti di domani, se oggi sono così confusi rispetto alla felicità. Credo che per avere qualche possibilita di essere felici, dovremmo  fare lo sforzo di cambiare i nostri modelli di pensiero,  cominciando  a considerare come un processo, e non    un risultato o una statica  meta.

Il possesso, la promessa di paradisi a venire o l’invidia e l'ammirazione verso il prossimo ci forniscono una  illusione di felicità che dura  solo per brevi istanti; se non impariamo ad essere autenticamente felici, difficilmente potremo trattenere a lungo le sensazioni piacevoli, a preservare il nostro stato di grazia e a smettere di invocare la morte solo perché profondamente incapaci di vivere la vita e di trattenerla nei nostri corpi e nelle nostre esistenze.

 
testo e opera A.Iurilli Duhamel

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