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Eppure

Eppure, quella è mia madre: suoi gli occhi, finestre opache sul passato, sul tempo che abbiamo vissuto insieme. Sue le mani, percorse da un tremito continuo: le sue mani così belle, quando aveva appena finito di dare lo smalto alle unghie, rosso vivo sulla pelle abbronzata dal sole estivo.

Non più di quindici anni fa, quando lei era già ben oltre la settantina, quando ancora le sue giornate non si consumavano, tristi, fra il letto e la sedia rotelle, un pomeriggio, mentre eravamo in giro per acquisti, incontrammo un suo amico degli anni lontani della giovinezza: un signore anziano, ovviamente, che si rivolse a me- un po’ scherzando e un po’ no- e mi disse che nessuna ragazza aveva mai eguagliato, per lui e per tutti quelli che l’avevano conosciuta, la bellezza e lo spirito, la simpatia di mia madre da giovane.
E non era stato il primo, né l’unico a parlare in questi termini di lei che, per me, specie quand’ero un’adolescente timidissima e insicura, era stata modello irraggiungibile di spigliatezza e di affabilità, di fascino: così bruna, elegante- anche con un abitino da nulla- . Sempre sorridente ( la luce del sole vivo dell’estate, in quel sorriso; dei morbidi tramonti d’ottobre...).

Ecco: a questo sto pensando, mentre la guardo, seduta accanto alla finestra, con gli occhi – scurissimi e lampeggianti di vita, un tempo; sbiaditi, ora, inespressivi- perduti fra i rami del grande albero al di là dei vetri...”Fa caldo, oggi, vero?”...
Sì, mamma, fa molto caldo.

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