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Erian e Salus

Erian era alto, per la sua età. Robusto, con spalle forti e gambe agili. Anche bello, diceva qualcuno, con quei suoi capelli grigi come il cielo e fitti come la pioggia, con quei suoi occhi sottili e verdi come il vetro.
Per questo fu il primo ad essere venduto.
Un uomo magro e affilato con un lieve accenno di barba sulle guance e larghi pantaloni color mattone lo osservava da qualche tempo, sin da quando, un paio di giorni prima, erano stati esposti nella vetrina centrale del negozio di schiavi.
Erian non l’aveva guardato, aveva tenuto lo sguardo fisso e immobile davanti a sé, come gli avevano insegnato, ma si era accorto che il tizio magro fissava proprio lui ogni che passava davanti alle vetrine del corso centrale.
Almeno una decina di volte l’aveva visto percorrere quei pochi metri che la sua visuale ristretta gli permetteva di scrutare. Passava davanti al negozio, tornava indietro, si avvicinava alle vetrine e poi lo squadrava da capo a piedi. Alla fine abbozzava un sorrisetto e scuoteva la testa in segno di approvazione.
Erian pensava che fosse uno di quei tizi a cui piacciono i ragazzini, aveva sentito dire che nella città ce n’erano parecchi. O almeno queste erano le voci che giravano tra di loro. C’era addirittura chi diceva che l’imperatore stesso avesse una schiera di fanciulle e giovinetti per il proprio piacere. Ma di tutte queste storie a Erian importava poco. Che fosse vero o meno a lui non faceva differenza. Tutto ciò che gli interessava era il torquis che aveva tatuato sul collo, il numero di matricola con cui veniva identificato ogni schiavo: guardava la sua immagine riflessa sulle vetrine e tremava di rabbia ogni volta che scorgeva il suo marchio di schiavitù. E poi c’erano Mathis, Lea e Roen, in piedi accanto a lui, nudi, come lui. Non poteva non pensare che quelli sarebbero stati gli ultimi giorni che avrebbe trascorso insieme a loro, insieme ai suoi fratelli.
Era furioso.
Stringeva i pugni e si giurava che chiunque l’avesse comprato lui l’avrebbe ammazzato con le sue stesse mani non appena fosse stato libero dai lacci magnetici che gli stringevano i polsi. E poi sarebbe tornato a liberare i suoi fratelli, tagliando la gola al mercante di schiavi e infine, tutti insieme, sarebbe tornati a casa, al fiume, alla verde isola-barca che scorreva al centro di esso.
Poi l’uomo magro entrò nel negozio, scambiò qualche parola con il proprietario, indicò Erian, tirò fuori dalla borsa alcune banconote e pagò.
Uno dei commessi lo andò a prendere e lo trascinò via con sé. Mentre scendeva gli scalini sentì sua sorella Lea singhiozzare. Ma fu solo un momento, poi un altro inserviente si affrettò a togliere anche lei dal ripiano d’esposizione. Non che fosse stata acquistata, ma non era accettabile per il più importante negozio di schiavi della città avere merce esposta in vetrina. Lea fu portata di peso nel magazzino insieme alla seconda scelta, Erian invece venne condotto davanti al suo nuovo padrone.
Tentò di opporre resistenza e di correre verso Lea ma, per quanto fosse robusto, i commessi era addestrati per tenere a bada anche la bestia più agitata. Mandarono una scarica magnetica attraverso i lacci ai polsi e, quando sentì il dolore corrergli lungo tutti i nervi del corpo, capì che non ce l’avrebbe fatta a mantenere la sua promessa. Forse non era coraggioso e forte come credeva. Forse non avrebbe mai più rivisto la sua isola-barca.
“Non fategli del male.” Disse con voce metallica l’uomo magro, ormai divenuto il suo nuovo padrone. “Ho bisogno che sia in forze, per quello di cui ho bisogno.”
Poi gli l’inserviente gli diede il dispositivo di controllo dei lacci magnetici e finalmente uscirono dal negozio.
Mentre si allontanavano Erian si voltò un’ultima volta verso le vetrine per guardare i suoi fratelli, Mathis e Roen, il più piccolo. Entrambi sostennero lo sguardo solo per un istante, poi chiusero gli occhi, disperati, per trattenere le lacrime. Erian si sentì morire, sentì nel suo cuore di bambino crescere un sentimento nuovo, la rassegnazione. Aveva tradito la fiducia dei suoi fratelli, ed era appena diventato adulto.
Quando svoltarono l’angolo, l’uomo parlò.
“Bene Erian. Questo è il tuo nome, esatto? Io sono Salus, il più famoso fabbricante di marionette di tutta la città. I miei spettacoli sono richiesti anche dai cortigiani dell’imperatore. I burattini migliori possono essere costruiti solo con i rami giovani delle betulle, che crescono in cima alle piante. Da domani tu ti occuperai del fondamentale compito di arrampicarti fino in cima e tagliare il legno necessario. Chi se ne occupava prima di te è caduto proprio l’altra mattina, insieme a una prezioso carico di rami. Ho dovuto gettare via entrambi. Spero che tu sarai più attento.”
Erian lo fissò stralunato, Salus ricambiò lo sguardo e sorrise.
Un ghigno metallico come la sua voce ma, e Erian non sapeva dire il perché, a suo modo rassicurante.
 

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