Scritto da © Piero Lo Iacono - Gio, 12/04/2012 - 18:13
E alla morte del poeta
parenti, amici e vicini di casa
cercarono come invasati
tra le pile di carte accatastate
a caccia di contante e capitale.
Ma niente di valore.
Solo carta e libri
pagine e fogli imbrattati
dai titoli più strampalati:
“Le vertigini di Icaro”
“Parole private”
“Seminando il deserto”
“Chiodi di vetro”.
Solo parole e parole….blablabla.
Ma niente di valore e di utile.
Niente denaro e oro.
Niente valuta o credito.
Niente atti e contratti.
Così ammassarono i fogliastri e le cartacce
e le bruciarono tutte in un bel rogo.
I più afflitti erano i parenti
che non ereditarono nulla.
Quando il poeta morì
lasciò in eredità
le sue poesie e un flauto.
Le poesie se le prese un po’ il fuoco,
un po’ la pattumiera,
un po’ i tarli e le tarme.
Il flauto se lo prese un bambino
che vi soffiò per qualche volta
e poi lo ripose via
come si richiude uno sbadiglio.
Io conservo ancora nelle mie orecchie
la sua voce (non più le parole)
quando recitava le poesie,
come una conchiglia regge
nelle sue volute il mare.
E continuerò a fare dei buchi nella canna…
E a suonare dal mio cantuccio
su quel flauto sfiatato
le arie che mi piacciono.
22-5-2007
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