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Il dubbio

Un poco alla volta la mente si snebbiava e come in un film, fotogramma per fotogramma, rivissi il viaggio vacanza-lavoro in Russia che mi ero concesso l’anno prima. Allora la fissai ad occhi spalancati pronto a gridare il suo nome, ma accidenti a quel bavaglio che me lo impediva.
Lei si fece più vicina portandosi con il viso all’altezza del mio, scrutandomi con quegli occhi di ghiaccio, mi sputò in faccia il fumo della sigaretta poi, ridendo, disse: <<Ecco, bravo, hai indovinato!>>   Stizzita si raddrizzò e con il piede prese a pestare il mozzicone che aveva gettato sul pavimento, quindi con un movimento rapido mi prese il collo del maglione e si mise a scuotermi come fossi lo zerbino del benvenuto che si mette davanti all’uscio di casa, sbraitando: << Dov’è, dov’è. Ti decidi a dirmelo!>> E io strabuzzando gl’occhi e mugugnando cercavo di farle capire che fino a che non mi avesse tolto quel maledetto bavaglio non sarei stato in grado di parlare, anche se non capivo ancora di cosa.
Finalmente dopo tanti sforzi pareva averlo compreso perché me lo strappò di bocca e puntandomi un dito lungo, lungo sul petto gridò: << Giusto! Ora ti decidi a rispondere.>>
La guardai dal basso all’alto con un sorriso ebete stampato sulla bocca. << Ciao Olga, come stai?>> << Come sto un corno, ti vuoi decider  una buona volta a dirmi dove lo hai messo?>> << Ma messo chi, cosa, C . O . S . A…>> << Senti tesoruccio, non fare lo gnorri che con me non attacca, se non cominci a dirmelo giuro, giuro che ti faccio un buco in testa, così impari.>>
A fatica cercai di mettermi in una posizione migliore di quella che i due energumeni mi avevano messo, ma visto che ero impacchettato come un salame non ne fui capace al che, Olga, con un cenno della mano, diede ordine ad uno dei due uomini di slegarmi, cosa che lui fece subito senza battere ciglio. L’ammiravo per la sua forza e la sua arroganza che non guastava affatto la sua matura bellezza, ma ancora di più ammiravo la sua dolcezza, la sua arrendevolezza, la sua sensualità, ed erano queste ultime quelle che mi avevano colpito di più, ed erano queste che avevamo diviso, notte dopo notte, nella sua dacia sperduta nella steppa.
Il nostro fu un incontro, anzi uno scontro bellissimo. Quel giorno ero così intento ad ammirare e fotografare la piazza Rossa con i suoi monumenti, la cattedrale di S.Basilio costruita da Ivan il Terribile, il Cremlino che tutto quello che mi stava intorno non aveva più consistenza.
Il Cremlino di Mosca, il più famoso dei cremlini, una cittadella fortificata posta nel centro geografico e storico della città, sulla riva sinistra del fiume Moscova e sede del governo, il più importante complesso artistico della nazione. In cirillico=kreml che significa fortezza per l’appunto, circondato dai “giardini di Alessandro” uno dei primi parchi pubblici moscoviti e che si affaccia sulla piazza più suggestiva e conosciuta al mondo, meta delle nostre lunghe romantiche passeggiate.
Era una giornata fredda ma luminosa, il cielo era terso, i raggi del sole dardeggiando sulle cupole della cattedrale ne facevano risplendere gli ori creando attorno a essa un alone di mistero. Tanta era la gente che come me affollava la piazza, turisti e non, io, camminando all’indietro per centrare nel mirino della macchina fotografica la prospettiva migliore di quel magnifico luogo andai a sbattere contro qualcuno alle mie spalle il quale proruppe in un lamento, mi girai per scusarmi e rimasi subito abbagliato da una donna dai lunghi capelli biondi e dagli occhi di gatta in calore che inginocchiata si massaggiava un piede calzato da una scarpetta non adatta a quella rigida stagione.
Il mio sguardo sembrava essere calamitato dal suo, porgendole la mano l’aiutai ad alzarsi, lei mi sorrise di rimando, un sorriso dolcissimo, per scusarmi l’invitai al bar, invito che lei accettò ben volentieri. Fu così che iniziò la nostra storia. Per due mesi mi parve d’essere approdato in Paradiso.
Con lei visitai tutta Mosca ma poi mi portò nella sua dacia in mezzo alla steppa dove il nostro amore divampò bruciando giorno e notte. Quanto l’ho amata. Amavo, adoravo tutto di lei, del suo corpo fremente e voglioso. Poi una mattina svegliandomi mi accorsi d’esser solo. Il letto era ancora caldo ma irrimediabilmente vuoto, il cuscino aveva ancora la sua impronta, il suo profumo aleggiava ancora nell’aria, ma lei non c’era più, era andata, sparita, senza lasciare un biglietto, una spiegazione, un perché.
Ed ora eccola qui a reclamare qualcosa che crede io le abbia sottratto, ma che Dio mi fulmini se so cos’è.
<<Va bene, visto che non vuoi parlare è ora di cambiare tattica.>>
Con un gesto brusco della mano affusolata congedò gli energumeni che si affrettarono ad uscire dalla stanza lasciandoci soli.
Olga sorridendo mi fissava intensamente e io cominciai a sentire caldo e un formicolio tra le gambe.
Lentamente, molto lentamente sbottonò la giacca che poi gettò a terra e intanto si avvicinava sempre di più. Quando mi fu di fronte con una mossa da prestigiatore mi tolse il maglione e mi scaraventò sul pavimento, prendendo i lembi della camicia fece schizzare i bottoni in tutti gli angoli della stanza scoprendomi il petto. Mi accarezzò con tocchi leggeri di quelle dita che ancora sognavo di notte, ma non soddisfatta del tutto, si alzò la gonna e, accoccolandosi sul mio ventre mi morse il seno, mi leccò, mi tormentò, mentre io, alla sua mercè, la sentivo fremere e gemere. Una tortura.  << Olga…>> << Zitto…>> << Ma non avevi detto che se non parlavo mi facevi…..>> << Prima, ora sta zitto e baciami.>>
Io come potevo non ubbidire ad un ordine simile?.....

 

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