Scritto da © Franco Pucci - Gio, 19/01/2012 - 12:54
"...i avarave ciamà belo per doman…"
Quel repentino, lattiginoso strato di nebbia
sembrava bambagia sfilacciata tra le dita
che saliva silenziosa posandosi sulla laguna
e come algido sicario ne affogava i colori.
Testarda una lama di luce bucava la bruma,
creando sull’acqua trasparenti arabeschi,
mentre il peschereccio si perdeva nel limbo
la sirena urlava il suo commiato dal molo.
L’orizzonte m’apparve come sogno concreto
che da tempo rincorrevo e protesi la mano,
solo stracci di nebbia rimasero appesi alle dita.
Con la voce arrochita dall’umido salmastro
bestemmiai alla caligine la mia delusione.
"…i avarave ciamà belo per doman…"
Straziò la voce stridula ma ne riconobbi il tono,
lo schioccar del becco e il frullar d’ali felpato
lacerarono come artigli il velo dell’amarezza
e nella laguna ovattata rispecchiai il mio sorriso.
…come sempre avrai ragione tu amico mio.
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