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Dissonanze

I cristalli scintillano, i fiori nell’angolo buono, intrisi di luce.
E poi il tappeto turco, il vaso cinese, le porcellane antiche, il tessuto indiano, cosa tenere, lucidare, cosa
         non rompere.
Polvere,
polvere si deposita, la luce non è immobile, oscilla, retrocede,
si concederà domani ad altri fiori.
Fiori, fiori di seta, forse meglio eliminare la terra, risparmiare il pensiero dell’acqua
Cosa è vivo, cosa è morto
in questi oggetti
che hanno fatto il giro del mondo,
per venire qui, per atterrare tra  queste pareti
                                                                         sole.
 
Lo sai anche tu, l’hai imparato,
il PC è portatile, la segreteria inserita, il cellulare in attesa,
l’antivirus funziona,
sistema immunitario sicuro, porte si aprono a gente conosciuta,
mani si lavano, niente germi, no imprevisti, cardini oliati
porte che  potrebbero aprirsi, porte che rimangono
                                                                                 chiuse.
 
- Ricordi? -  vorresti dire  - Ti ricordi?
Noi, arruffati, scomposti, casuali, noi che non avremmo mai fatto
(l’abbiamo fatto sì, ci siamo caduti, come tutti, come sempre, come noi).
 
Noi che mai si sarebbe arrivati… noi …
in una Dyane verde, chiacchiere e fumo
noi in corsa nei corridoi del tempo, o fermi negli spazi del silenzio.
Noi ombre dentro una Dyane verde che si allontana piano.
 
(Ne sei sicura? A volte i ricorsi s’inventano, l’ombra tace, anche se l’ascolti non ha più niente da dire, quel noi forse era un io incerto che si è visto in uno specchio).
 
Noi, dunque, cialtroni, ribaldi, innocenti, di quell’innocenza arrogante,
noi allora nuovi nel mondo, stupidi, spavaldi viaggiatori, incoscienti e spauriti,
mangiando il futuro, sfuggendo al passato, ma sempre tenendoci per mano.
 
 
(Cos’è una mano? Cinque dita ad afferrare riflessi, arnesi portatili per sogni in disuso, pelle da ricoprire di crema perché la polvere è dappertutto,
sistema immunitario in pericolo, dicono che la Dyane fosse scomoda,
e io aggiungo meglio avere posti a sedere, chi se ne frega dell’ombra.
La lontananza è un concetto relativo, la vicinanza non esiste, 
la crepa tra te e la tua mano è un universo di cinquanta centimetri).
 
Allo sportello bancomat operazione in corso:
si prega di attendere, ripetere la procedura: fantasia,
codice sconosciuto, inaccettabile.
Consigliamo numeri oppure altre parole: produrre, consumare, adeguarsi.
Si autorizzano prelievi, ma al momento non siamo abilitati ai sogni.
 
E in fondo non ti sembra più un male, tutto di guadagnato,
ché i sogni sono somme di sillabe, buoni per una canzone
e tu non hai sosta,
devi lucidare, strofinare, frenare
la danza della polveretempo che consuma le cose.
 
 

N.B. Siccome il testo è già lungo, non inserisco qui la poesia originale (di qualche anno fa), ma la metto nei commenti

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