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Decadenza di una nazione

Quando un intero popolo soggiace al gioco di una maggioranza mentecatta, allora si rassegni all’epilogo ineluttabile di una simile figurazione, che è quello della decadenza. E decadenza non sottintende “aure” dannunziane ove si dia luogo a baccanali estenuati ed estetizzanti, come in una “Salomè” di Gustave Moreau, no. La decadenza di un popolo è quando altri popoli lo sovrastano, lo surclassano e quindi lo fanno morire. I Romani, è noto, morirono anche per una sorte di tale natura: c’era vecchiaia nel loro impero millenario, stanchezza, pulsione di morte. Elementi che non si manifestano, come si potrebbe presupporre, come estenuazione, appunto, o come estetico rilassamento alla Oblomov. No, si manifestano come istupidimento di massa e come regressione a rapporti di pura violenza infantile, traslatando il soggetto-massa in una sorta di bambino sadico e scervellato che, come scimmie, si prodiga in turpitudini d’ogni sorta. Un soggetto dominato da una frenetica ingordigia d’oro che lo istiga a una sorta di “pulsione d’accumulo” innecessaria e quindi incoerente, psicopatica. Una pazza corsa all’oro che si rivela nient’altro essere che la maschera di un’altra invasata corsa verso la propria rovina. 

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