Il cucchiaio di Totti. | cose così | Anonimo | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Il cucchiaio di Totti.

 
 
Ne avevamo parlato a lungo, discusso tanto da quel lontano 2004, la semifinale con l’Olanda. L’avevo provato cento e più volte… ma il “cucchiaio” - quel cucchiaio - non fu solo un segno di follia. Non era nemmeno una esclusiva di Totti. L’aveva già fatto Panenka, cecoslovacco, nella finale del 1976 contro la Germania di Sepp Maier, facendo vincere per la prima volta la Coppa Europea alla sua nazione… Ed io avevo già cancellato i sogni di gloria pallonara.
Certo, occorre una sensibilità di piede-gamba-coscia-gluteo inimmaginabile – lo fai e basta - o almeno una freddezza d’animo glaciale. In ogni caso, tanto tanto culo che per sederti occorre tutta una tribuna, ma è la tempra del campione: il suo marchio di fabbrica. La certezza che nelle tue pratiche muscolari risieda lo stampino del fuoriclasse e tra i neuroni, almeno uno si chiami genio… Eppure, l’è dura!
 
Quel giorno, al campo, la partita filava liscia verso la conclusione con un perentorio quattro a uno che la diceva lunga sull’andamento del gioco. Vincevamo e la nostra superiorità nemmeno era stata messa in discussione dal gol degli avversari, che ora assistevano impotenti al torello a cui li sottoponevamo in attesa del fischio finale. All’improvviso, Marco si lancia sulla fascia destra; Gianni lo segue con un lancio in diagonale sulla direzione di corsa. La difesa avversaria è scoperta. Il difensore di fascia arranca alle sue spalle, mentre Marco controlla e converge verso il vertice alto dell’area di rigore. Il centrale esegue con tempismo il movimento diagonale che lo porterà ad incrociare per opporsi all’attaccante; questi tenta il doppiopasso: appoggio sulla gamba esterna dopo aver spinto il busto in quella direzione e rientro immediato sul fianco sinistro con una frenata repentina della corsa per mandare a vuoto l’avversario e convergere al centro. Il difensore è però una macchina in piena corsa: abbocca alla finta, ma nello slancio tenta un recupero disperato con un colpo d’anca e il piede a falce è l’ostacolo che fa precipitare Marco in un ruzzolone appena dentro l’area di rigore.
Fischio sacrosanto. Massima punizione. Tocca a me… Lo voglio io questo momento!
 
Il pallone tra le mani, mi avvicino calmo al dischetto su cui posizionare la sfera. Il terreno, in quel punto è più duro. Per quante volte l’argilla si è mischiata al gesso di segnalazione, occorre romperla col tallone… occorre – mi dico – che sia più profonda. Ho in mente “quel” colpo. Attendo da troppo tempo che si verifichino le condizioni: squadra in vantaggio, risultato al sicuro, poco alla fine del tempo di gioco:  insomma, è il momento più giusto per uno che campione non lo sarà mai!
 
Mi piego in avanti, posiziono il pallone sul leggero bordo della fossetta. Pulisco le mani sul pantaloncino, mantengo gli occhi sulla sfera di cuoio – non devo guardare il portiere, leggerebbe negli occhi le intenzioni di tiro, non deve!, - indietreggio e mentre lo faccio mi ripeto il come e il dove. Direzione perpendicolare alla linea di porta - non devo correre - scavare con la punta sotto la palla, bloccare lo slancio della gamba; la palla che rotola, dalla punta al collopiede, e riceve una spinta verso l’alto roteando sul suo asse longitudinale nel senso inverso al cammino nell’aria, alzandosi appena ad altezza d’uomo… Deve ricadere al centro mentre il portiene si è già tuffato su uno dei due lati…, e chissenefrega quale!
 
Quattro passi indietro, tentenno… Meglio cinque – nessuno scatto. Il fischio, poi l’avvicinamento; nell’ultimo slancio la gamba di tiro – la destra – si muove regale: blocco il piede sotto, il pallone schizza rapido verso il suo bersaglio, rotea in aria… ma che fa?! Che faaa!? Il portiere non si lancia… Fermo, immobile, riceve la palla come un bimbo in grembo!... Il sorriso di scherno, poi si avvicina: “Papà, pensavi ci cascassi? Non è da te!” No, hai ragione; non è più da me, da trent’anni non lo è più!
 
A capo chino sull’ultimo del triplice fischio mi volto alla porta, osservo il pallone e una speranza di follia mi prende: “Ma la prossima volta…”

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