Cronache dell'anima (2 e 4) | Prosa e racconti | Hjeronimus | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

To prevent automated spam submissions leave this field empty.

Commenti

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

Nuovi Autori

  • laprincipessascalza
  • Peppo
  • davide marchese
  • Pio Veforte
  • Gloria Fiorani

Cronache dell'anima (2 e 4)

Da-ra-da  da-ra-da, re minore, sol minore. I sentimenti, la pioggia, il tempo… e il bene, a chi giova? E il male? A chi fa bene il bene? E a me? Cos’è per me? Qualche bene o contento avrà fors’altri;  a me la vita è male…

Mi si fece accosto per vedere meglio. La carta era ancora fresca, anzi madida, ma chiara e perspicua: da vicino si vedeva molto bene. Così mi si avvicinava per vedere coi suoi occhi ciò che sondavo coi miei. Quando tale vicinanza divenne troppa, per così dire, avvertii come un cadermi di qualcosa dentro e sopra, come una cascata o un vento arcano che inspiegabilmente procedeva dai suoi “gangli” inverso i miei. Non so ridirlo con esattezza, perché era qualcosa di alieno che in un sol tratto mi si precipitava in qualche luogo, dentro, sconosciuto altrettanto: capite? Una cosa strana si gettava in un anfratto strano di me stesso, facendolo palpitare come non sapevo di saper palpitare. Di poter palpitare. Forse avevo dimenticato di possedere tali prerogative, del tutto umane. Forse ero diventato disumano adagiandomi nel sonno senza sogni della mia piatta vita, rapita, offesa e senza riscatto. Ma mi ricantavo il ritornello: a me la vita è male, perché, pur senza sapere cosa mi cadeva dentro e dentro dove, sapevo tuttavia che avrei sentito solo male e nient’altro. Sapevo che a me bastava sentire, per sentir male. Che i miei sensi erano esasperati, spasmodici, parossistici. Che non vi cadeva uno “zic” dentro senza scatenare l’uragano dell’angoscia e dei rimorsi che mi avevano tallonato sempre e che a malapena dissimulavo sotto la maschera del tran-tran, facendo finta di essere normale, se pur mai tale alcuno visse.

Qualcosa aveva ridestato in me ciò che appunto, con una precauzione pressoché istintiva, custodivo con cura al di sotto del livello di guardia, che coincideva per me semplicemente col puro sentire e che paventavo dolorosamente, preconizzando la soffocazione. Questo qualcosa poteva semplicemente interpretarsi come qualità. La qualità che promanava, che discendeva da colei e che m’investiva con una specie di rumore sconosciuto, come una torma d’acqua tonante e battente sulla deriva dei miei sensi appannati, che tentavano di resisterle.

Ah, il tempo la pioggia il re minore… ella mi pioveva dentro come la fuga in re minore ed io non sapevo più cosa fosse quest’incantevole dilagante naufragarmi dentro di quel bene sublime, rattrappito sul nascere, onde evitare la proliferazione del suo contrario.

 

E io, inzuppato nell’agnosticismo e nel rammarico, non ci credevo ai miei sensi e ai miei occhi. Come poteva darsi che qualcosa, da qualcuno, potesse davvero scardinarmi, alluvionarmi, stanarmi così, col solo suo esistere, esistendomi accanto solo per qualche istante? Non potevo fidarmi di queste metempsicosi, non vedevo, non avevo mai visto, mai subodorato, mai prestato fede a improbabili “porte” di valico dell’io – quantunque innumerevolmente quel sentire, sia pur sempre affossato nella malinconia, mi avesse rivelato storie che non potevo conoscere e affetti che nessuno mi aveva mai confessato. Riuscivo a sapere le cose “da lontano”, le cose che contano, quelle dell’anima, senza aver mai creduto che davvero c’era un’anima… mentre costringevo la mia a contrarsi onde evitare il nevralgico battito di quel suo immane insopportabile sentire, come un Dio recalcitrante dentro l’amara roccaforte della mia miscredenza.    

 

 

La mia anima esisteva – ed esisteva quest’altra che, accostandosi soltanto un po’ alla precedente, con la sua aura ondeggiante, come cerchi d’acqua intorno a una gondola, mi “imbarcava” nella sua maestà, riattizzando la pena che quella mia, la mia maestà, mi aveva sempre fatto pagare.   

*

 Se quando vedi la luce, all’alba dell’essere, è quella della disperazione che alita su di te, che fare della tua vita?

E seppure una volta essa si cangia, invertendo il proprio segno maligno in un bagliore di felicità, insospettabile, incongrua, quasi irreale, allora, che fare della tua vita?

E se queste due sorelle, felicità e disperazione, amore e morte, se ne vanno a zonzo insieme, traendoti al guinzaglio come un cane infelice che non osa ribellarsi, allora, cosa fare della tua vita?

Che ne facciamo, cosa possiamo farcene di questa vita?

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 2 utenti e 2532 visitatori collegati.

Utenti on-line

  • live4free
  • Fausto Raso