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Costellazioni

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lunedì, 26 luglio 2010
 
 
C'era la Parola della Grande Quercia da ascoltare e a questo venimmo chiamati. Una veglia ininterrotta per l'arco intero del giorno e poi a notte calata, cedere il posto alla veglia del fuoco nel falò, laggiù nella radura, che avrebbe illuminato la notte e dove i miti delle Costellazioni ci venivano via via raccontati. Noi astanti e in silenzio, i volti schiariti dalla luce delle fiamme e lontano lassù un congiungimento fra noi Terra e le stelle Cielo.
Il firmamento era il web dei popoli antichi, dove proiettavano storie, desideri, aspirazioni. Soltanto nell'antichità il cielo fu oggetto di così numerose e costanti osservazioni che diedero luogo a leggende dove vivevano personaggi straordinari. Ora siamo estranei ai misteri contenuti nel cielo.
Venne il mio turno di veglia alla Grande Quercia ed io distesa nell'amaca provai ad ascoltarla, ma il frinire delle cicale era così assordante che non potevo sentire il linguaggio e le parole della quercia. Attesi qualcosa senza conoscerlo, poi fu silenzio. E finalmente compresi! Non ero io a vegliare la quercia, ma fui certa che fosse lei a vegliare me! E allora, come di fronte a una Sorella più grande, iniziai a parlarle di me. E le mie parole ben presto assunsero il valore di una preghiera, così silente, continua, semplice.
Le dissi che avevo trovato il mio amore, un amore unico e grandioso. Ora lei mi avrebbe potuto aiutare a trovare la pace, quella che cerco da anni, di cui ho perso quasi il ricordo. Una pace che sento vicina, ma che a tratti si allontana, come fa l'onda mentre si accinge a lambire la rena e arriva nei pressi, ma troppo breve è il suo braccio e subitamente si ritira per disperdersi al largo. Così il mio fuggevole senso e bisogno di pace mi sfiora appena, ma poi si distanzia da me e va a perdersi in luoghi che io non riconosco.
La Grande Quercia mi ascoltò. Dopo di me sarebbe stato il turno di Mizar Alberto, il poeta che crediamo in difficoltà. Nell'allontanarmi giù dal sentiero in mezzo al bosco ho sentito numerose punte di stelle che si avvicinavano a me per sfiorarmi quel tanto che bastava.
 
venerdì, 30 luglio 2010
Toccò a Mizar, Alberto, la veglia alla grande quercia dopo di me. Ricordo che lo accompagnai con quella titubanza che provo di fronte alle persone in difficoltà. Una titubanza che si unisce al timore e fa emergere da noi stessi un particolare senso di protezione verso loro e di ausilio affinchè ciò che avevo fatto io nella veglia alla quercia, riuscisse anche a lui.
E Mizar mi seguì lungo il sentiero, gli indicai la strada percorrendola insieme, cercai parole di incoraggiamento anche se forse non ce n'era bisogno. Isuoi piedi non erano malfermi e affrontava il grande caldo, proprio come lo stavo affrontando io.
Avvertivo solamente un vago senso di ansia che lui manifestava col fiato, senza parlare. O forse era l'ansia che provavo per lui a farmi immaginare che lui sentisse così.
Arrivati alla quercia, gli indicai l'amaca dove si sedette e il papiro arrotolato su cui avrebbe potuto scrivere i suoi pensieri nell'ora di veglia alla quercia. Poi me ne andai assicurandomi che fosse tranquillo, che si sentisse al sicuro e gli indicai i punti di riferimento nel bosco, affinché non perdesse la strada del ritorno.
Ciò che lui provò e poi condivise con noi, durante l'ora di veglia alla quercia, ci lasciò stupiti, sgomenti, increduli.
La sorpresa è il profumo della gente
“Il profumo della gente è come un regalo di Natale.
Tutti i profumi che avevo sentito a quel tempo, soltanto la neve, lo spazio, con cui mi sono trovato alla fonte di una montagna, con una neve soffice che fa sentire il gelo, che porta tanti profumi, che si sentono delle voci che mi stanno a dire il tempo di ascoltare la natura, per stendersi sulla soffice neve.
Il profumo della gente, la loro voce...
l'ora è come una pianta che riesce a dare dei tempi, che passa leggera sulla terra.
Questa è la leggerezza meravigliosa
e questa è la prima volta che mi sono trovato.
E in questo spazio è come trovare le voci con cui mi potrei confidare.
I profumi considero, come un ramo di quelli che mi stanno parlando..." (Mizar, Alberto)
È solo una parte dello scritto, è una tenerezza, un senso, un ventaglio di emozioni che ci ha regalato la stella Mizar, anche se non so dare un'età a questo ragazzo, nato con sindrome di down.
 
venerdì, 23 luglio 2010
Le guardavo di sera, quando la corolla del più tenero rosa sembrava stanca del sole e si accingeva a chiudere gli occhi, per allontanarsi dal caldo del giorno e annusare piano la lenta freschezza notturna. In alto sullo sfondo la città murata e resa d'oro dagli ultimi raggi che lì, nella conca, si dilungavano ancora, come in un saluto protratto e più caro. Annusavo l'aria come una creatura di terra per gustarne la diversità. Di lì a poco, dopo il tramonto sarebbero apparse le stelle, in quell’immensa volta celeste ed io avrei scorto la mia, posta nel quadrilatero a rombo nella Costellazione del Delfino. Mi piacque subito il suo nome, il suono, la luminosità e ho creduto di essere io quella stella, sì proprio io, come lo credo tuttora.
 
 
 

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