Scritto da © Franco Pucci - Mar, 13/12/2011 - 20:34
L’aria respirava il sapore dei ceri.
Distesa nel biancore alienante della stanza, la sagoma sul letto
pareva un nero insulto all’ordine prestabilito delle cose.
Comunque era li, parallela alla linearità delle piastrelle anni ’50
che quadrettavano ordinate e sussiegose l’improbabile pavimento.
Chili di gel piegavano come tondini di ferro i radi capelli
coartandoli in un percorso a loro indigesto e congenitamente alieno.
Un solco discriminatorio come spartiacque ne divideva le incombenze,
viaggiavano quindi paralleli anch’essi all’iter pretenzioso delle piastrelle.
Un gessato di un grigio spento che un dì fece furore a Londra
rivestiva l’immota sembianza e l’ordinato percorrere del bianco gesso,
come binari che percorrono il rettilineo di una vita spesa senza sussulti,
disegnavano nell’insieme una scena di rara e ordinata perfezione mortuaria.
Il silenzio, ritmicamente rotto da un sommesso sgorgare di finte lacrime,
venne lacerato da un grido straziante: <<Lì…lì…>> la mano tremante
indicava con tremebonda iterazione il piede del caro estinto, la scarpa destra,
inopinatamente slacciata, in completo disordine, i lacci sparsi in allegra anarchia.
Un ultimo grido e la donna svenne. Fu il caos.
…ancora mi rido dentro…
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