Scritto da © Antonella Iuril... - Ven, 03/02/2012 - 18:05
Il dominio o l’integrazione della natura sono una allegoria riferibile ad ogni sorta di meccanismo di controllo e sopraffazione. L’ecofemminismo ha rilevato che la natura corrisponde al femminile denigrato e ad ogni forma di realtà ghettizzata e sopraffatta, mettendo in luce quattro forme di dominio che comprendono: razza, classe, genere e natura.
Spesso si considera una qualsivoglia critica al sistema dominante una specie d’idiosincrasia da parte della ragione a favore dell’irrazionalità, ma la critica di un sistema basato sul dominio e l’esclusione, non implica l’abbandono di ogni forma di razionalità, individualismo e scientificità; propone una loro possibile ridefinizione che tenga conto dai danni causati all’ambiente e all’umanità dall’uso esasperato di categorie ed opposizioni.
La natura nel suo processo di asservimento e svalutazione è stata vista come: passiva, un non soggetto, una comparsa silenziosa piuttosto che una protagonista di valore, un invisibile sfondo utile ai veri protagonisti costituiti dalla ragione o dalla cultura delle classi dominanti occidentali maschiliste e di pelle possibilmente chiara.
Le classi assoggettate, e tra queste includiamo: natura, razza e classe sono una sorta di “terra nullius”, una risorsa priva di scopi propri, di prerogative e significati e pertanto la loro annessione o se vogliamo il loro fagocitamento da parte di ragione, intelletto, classi e razze dominanti costituisce una realtà più che giustificabile.
Chi subisce questa sottomissione, si trova a dover sperimentare qualcosa di nettamente separato, alienato e sminuito, una sorta di regno sottostante il cui dominio da parte di chi o ciò che sta sopra è qualcosa di assolutamente inevitabile oltre che naturale.
Muovendoci dalla natura in se e dalla natura delle cose, un tale trattamento costituisce una sorta di standard nelle culture occidentali dove persino la logica del dualismo è utilizzata in funzione di uno schema concettuale che struttura diverse categorie di potere ed oppressione. Secondo tale prospettiva anche il corpo umano con i suoi contenuti emotivi viene posto al di fuori del valore attribuito al razionale, e relegato ad una condizione di progressiva svalutazione, e come non valore è anche inferiore alla tecnologia subendo la stessa sorte toccata alla natura.
Inizialmente la tecnologia si è focalizzata sulla natura, oggi si rivolge al corpo umano sviluppando una vera e propria tecnologia del corpo, con una differenza sostanziale; mentre la tecnologia applicata alla natura è servita a salvare energia umana e pertanto il suo costo è stato assorbito dal sistema industriale, la tecnologia applicata al corpo umano invece, non parte dall’interesse da parte del sistema che se ne assume i costi ma è l’individuo stesso a farsene personalmente carico per sostenere per tale trasformazione.
Il processo di tecnologizzazione del corpo viene generalmente descritto come un processo lineare al di fuori di dinamiche e conflitti di potere, di fatto però, è un processo politico difficile da rivelare dal momento che coinvolge quei luoghi strategici di rappresentazione sociale che disonestamente fanno passare per naturale ciò che in realtà non lo è mai stato. Per nostra sfortuna, il corpo naturale è costantemente preso di mira e sarà condannato a sparire.
Antonella Iurilli Duhamel
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