Scritto da © ComPensAzione - Ven, 30/11/2012 - 14:11
L'aveva scartato con enfasi (come se servisse impacchettarlo, poi ) intuendo dalla forma quello che in realtà si trovò poi tra le mani, sospirò senza dire una parola, poi si sedette, le spalle al muro, e lo appoggiò sulle scarne gambe allungate passando il dito sulla superfice e lungo le cuciture tese, ci appoggiò sopra la guancia ad occhi chiusi aspirandone l'odore di cuoio e di nuovo .
-Non vuoi uscire a giocarci con gli amici ? - La mamma lo scrutava perplessa . - No - soffiò lui - voglio godermelo ancora un poco da solo - e se lo abbracciava stretto. Era stato il suo desiderio da tempo, la chiave per aprire le porte di un gioco cui spesso era escluso perché troppo piccolo e magro e incapace, secondo molti, a dribblare come conveniva.
Quel pallone di cuoio gli avrebbe dato un'immagine nuova, il potere di decidere chi e come si poteva partecipare, il fascino del suo peso e della sua consistenza facevano pendere la bilancia a suo favore . Rimase così per un po', ad occhi chiusi, ad immaginare il percorso della sua vita cambiare, poi si rialzò ed uscì per raggiungere il campetto di gioco del quartiere.
Aveva fatto la strada lentamente, passando il pallone da una mano all'altra camminando poggiandolo sull'anca e si fermò all'angolo di un edificio , sbriciando il campo : i bambini erano già lì a lanciarsi tiri con un normale pallone di plastica, di quelli che si vendono esposti a grappolo dentro le loro retine nei banchetti del mercato, di quelli che basta un niente per sgonfiarsi subito e lasciarli senza gioco.
Rimase lì a guardarli per un po', il pallone stretto tra le mani e appoggiato sul ventre, quasi a zittire con il suo contatto il rimescolio che sentiva dentro, uno strano sfarfallio quasi come quando la fame si faceva sentire, ma era fame di altro, e forse anche un po' di timore che il legame che pensava il pallone potesse garantigli potesse in qualche modo spezzarsi .
Avrebbe avuto lui il coraggio di dire - Tu non giochi ? - Oppure di interrompere il gioco per una bega qualsiasi ed andarsene ? Quello non era il suo carattere, no. Lui era accomodante, non amava le discussioni, voleva solo un po' di attenzione.
Ci sono 'cose' che prendono valore solo con la condivisione : un pallone da calcio dev'essere senza alcun dubbio utilizzato in compagnia, il possesso, la proprietà l'esclusione lo rendono inutile, é uno strumento che può far valutare amicizie e inimicizie, ma tenuto stretto non é che cuoio riempito d'aria .
Si decise, infine, ad avvicinarsi al campo, non con la spavalderia che avrebbe voluto, quasi contando ogni passo : al momento gli altri continuarono il loro gioco senza dar segno di averlo visto, poi il 'portiere' di turno - Wowowooo , un vero pallone da calcio ! Ragazzi ! - Tutti si voltarono a guardarlo seguendo la mano tesa del compagno , ci fu un momento di pausa, quasi ognuno riflettesse dentro di se' quale reazione adottare , ci fu uno scambio di sguardi ...
...poi il bulletto di turno, il più grande, quello che aveva la proprietà sul pallone, quello che si ergeva su tutti con l'istinto del capogruppo, iniziò a ridere, una risata dapprima forzata e poi piena, chinandosi con le mani sulla pancia, gli altri lo guardavano perplessi, non capivano che quella era una risata che copriva il timore di diventare lui un escluso.
Si parla sempre dell'innocenza infantile, solo i bambini sanno quanto sottile possa essere invece la cattiveria tra di loro, sottile e penetrante, può forgiare una rabbia che s'annida nel cuore e trabocca via via negli anni, una cattiveria che non scorre sulle spalle mature dell'esperienza, gocciola e ferisce, lasciando cicatrici che prudono.
I bambini hanno l'istinto di capire le sfumature, un istinto che viene poi soffocato negli anni con l'educazione, con la caratteristica degli adulti di predicare bene e razzolare male, di indicare regole senza darne l'esempio.
La risata non fermò l'entusiasmo degli altri, che si avvicinarono guardando il pallone di cuoio con una sorta di invidia reverenziale; lui continuava a tenerlo con entrambe le mani appoggiato sulla pancia, e ci sentiva ancora lo sfarfallio, sotto, che sembrava ora più un ribollire che andava ad onde, come la risacca saliva su a seccargli la gola, e tornava giù quando lui inghiottiva a fatica dall'emozione che provava ad essere il centro dell'attenzione.
- Giochiamo?- sussurrò, quasi a scacciare la sensazione che provava dentro, una sorta di magone per il timore che l'interesse andasse perduto : il bulletto, in disparte, lo guardava torvo, ma poi il gioco li prese e lui si sentiva leggero, giocò come non aveva mai fatto come se il pallone gli avesse donato la sicurezza che gli mancava. Certo, la competizione era evidente, la squadra avversaria guidata dal bulletto giocava con l'accanimento di chi, perduto qualcosa, lo vuole riprendere ad ogni costo, ma il pallone conosce solo la bravura e non l'apparenza, la passione e non l'astio o il rancore, e lui dribblò con maestria ogni tentativo di attacco, i suoi tiri arrivarono perfetti ai compagni e a tardo pomeriggio, quando il fiatone permette lo scambio di ruoli, riuscì persino a piazzare un bel goal per terminare la partita in vantaggio. Ripreso il possesso del pallone potè godere dell'onore dei compagni, che con sorrisi e pacche amichevoli lo salutarono come un campione, il bulletto sudato e scarmigliato più degli altri gli accennò persino un saluto da lontano , poi se ne tornò a casa soddisfatto, l'andatura sicura e spavalda di chi aveva finalmente vinto una battaglia.
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