"Un uomo inutile, con passo lento va". Canzonetta anni '60
Un uomo inutile cammina lentamente verso nessun luogo.
Si vede che è un po’ affaticato, ma cammina regolarmente, di buon passo, senza meta.
In mano ha un telefono, ma non telefona. Anzi, a giudicare da quanto ce l’ha lì, deve avere le batterie scariche.
In tasca, a destra della giacca, una decina di cartoline. Ogni tanto si ferma, mette il telefono nel taschino, prende un fazzoletto dalla tasca sinistra e si asciuga il sudore. Poi estrae le cartoline e le guarda, prima sul retro. Gli indirizzi sono scritti per benino, con tanto di codice postale delle località. Ma sul lato sinistro sono in bianco. Le gira e osserva le immagini del monastero, vicino Tarragona, dove le ha acquistate. Già. Era turista. Ora… è inutile… è inutile… Guarda sotto il sole, dall’altro lato della piazza, la cassetta delle poste, e, per un attimo, sembra riflettere sul da farsi. Poi rimette in tasca le cartoline e ripiglia in mano il telefono. E riprende il cammino.
Ora sale su un autobus. Ora scende. Entra in un bar ed esce dal bar.
Fa un numero sul suo telefono, ma quello tace: è scarico. Rientra nel bar e mette una monetina nel telefono pubblico che, per fortuna, è di quelli vecchi, a moneta.
“Chi è? Sei tu Gustav? Dove sei? Rispondi!”.
Riattacca. Si incammina di nuovo. Guarda i cartelli. Dicono: Genova più di 150 chilometri! Siamo ancora in Francia, perché è in francese che lo dicono. Niente. Cammina. Viene dall’entroterra ligure e deve tornare a casa. Deve, non vuole, non vuole niente, non va da nessuna parte, non telefona a nessuno. Ma ci ha quel pungolo dentro, che lo morde, che lo flagella: a casa! A casa! Si sente un pellegrino del medioevo, di ritorno sulla via francigena – già, ma da quale santuario? Il santuario di che, di chi? Non ci sono reliquie, né santi, né spiegazioni… non sta andando in nessun luogo, non c’è casa, non c’è patria e, insieme, va verso casa, verso la casa che non è e verso cui non sta andando…
Ora c’è il tramonto e le scogliere savonesi precipitano “da fermo” nel mare come giganteschi Schiavi di Michelangelo, immortalati nel vortice della loro tragedia, proprio all’apice, e per sempre…
“Sarà così per sempre…” Pensa Gustav, l’uomo inutile. Ci sarà per sempre il tramonto, sul cui filo esiziale qualcuno, per sempre, camminerà, come un funambolo sulla corda tesa allo spasimo sui bordi erosi dell’apocalisse…
Adesso passa davanti casa. L’apocalisse non c’è stato e lui guarda un orologio sopra una farmacia. E’ tardi. E’ il tramonto. Passa oltre. E cammina. Cammina. E’ arrivato a casa e deve ancora arrivarci. La moglie lo intravede, affacciata alla finestra, girare lontano l’ultimo angolo. Lo chiama, strilla forte. Si precipita giù, come le rocce nel mare, come gli schiavi di Michelangelo. Invano. Non c’è traccia di niente. E forse l’apocalisse è già arrivata ed è questa stasi del male del mondo, questa metastasi, in cui, pur camminando, unica cosa possibile, non si va e non si giunge ad alcuna uscita…
Racconto pubblicato. Bocca Editori, 2004.
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