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Chiari, la casa del pittore e la poesia - Dedicata

 
dedicata a Angela Argentino, Emma di Stefano, Regina Resta.
 
Chiari è una cittadina vicina a Brescia.
Cosa c’è a Chiari? Non lo so. L’ho appena intravista, non ho avuto il tempo d’annusarla. Una cittadina di pianura, come ce ne sono tante. Tantissime.
Probabilmente con la stessa rassegnata monotonia di tutti i paesi di provincia, con quel cielo troppo grande sopra, e l’orizzonte che non si posa su nulla.
Ricordo case basse, due piani al massimo. E una casa, di queste, in particolare.
La casa del pittore. Una casa con un solo piano (almeno così ricordo), nemmeno troppo grande. Ma una casa speciale, specialissima, facile da riconoscere, c’è proprio scritto così sulla sua facciata: “LA CASA DEL PITTORE”. Non ci si può sbagliare.
Non ho chiesto per il paese come arrivarci. Il mio navigatore satellitare mi ci ha portato subito. Senza sbagliare. Ha il senso dell’arte quell’infernale aggeggio elettronico. Ma sono sicuro che se passate da Chiari e chiedete al primo passante dove si trova, ve la saprà sicuramente indicare.
Perché è così speciale, questa casa?
Ah, con calma, non fatemi fretta, insomma.
Vi ricordate quante volte, quante, ho chiesto in giro:
«Ma voi sapete dirmi cos’è la poesia?».
Dio mio, quante risposte. Una più bella dell’altra, una più complicata dell’altra. Tant’è che mi sono persino convinto di saperlo, di intuirlo. Di possedere la chiave per definirla.
Povero scemo. Piccolo, ridicolo, inutile scemo.
 
Ah, la poesia! Uno pensa a Leopardi, a Pascoli, ad Ungaretti. Oppure a Neruda, a Prevert, a Rimbaud, alla Merini, alla Szymborska (confesso, sono andato a leggere su un suo libro come si scrive il suo nome), a Montale, a Quasimodo. Dei giganti. Da giovane avrei dato qualche anno di vita per poter incontrare uno di questi poeti, parlargli, chiederli il perché del mondo.
 
Da giovane ero un coglione, e mi sbagliavo. Nessuno conosce il perché del mondo, nemmeno dio. E questi poeti sono grandi solo perché sono rimasti, nel cuore, bambini. E i bambini si chiedono sempre perché, ma non sanno la risposta. La inventano.
E da grande sono rimasto un coglione (però più vecchio, il che è peggio), perché ho sempre cercato la definizione della poesia. Anni ed anni a cercarla. A scrivere per trovarla.
 
Tutto perché non ero andato alla casa del pittore. A Chiari. In provincia di Brescia. Dove il mio occhio allenato a guardare in alto per trovare una cima di montagna posava lo sguardo su un cielo troppo grande e senza limiti. Avrei dovuto immaginarlo che la poesia non può stare chiusa tra due catene di montagne, a fondo valle, dove l’inverno è lungo ed il sole tarda a scaldare la terra.
 
Ve lo dico io, cos’è la poesia. La si incontra in queste piccole case di provincia.
 
La poesia ha l’aspetto di tre donne. Di tre donne normali, normalissime. No, niente spada di fuoco fiammeggiante, niente trombe del giudizio, nessun cavaliere dell’apocalisse a radunare da ogni angolo del cielo gli eletti del signore.
Tre piccole donne sedute, con davanti il loro libro. Com’è facile dire la parola “libro”. Facile. Cinque lettere e due sillabe. Dei normalissimi fogli ripiegati e rilegati, con sopra tracciati dei segni. Lettere, lettere che si uniscono in una sorta di armonia strana, a formare parole, e le parole insieme creano frasi. E le frasi diventano pensieri.
 
I pensieri di tre donne: Angela, Emma, Regina. Tre donne del sud. Così lontane dalla mia Occitania, dalla mia Provenza, dai miei suoni e dalle mie immagini. Eppure, in quella casa, così incredibilmente vicine.
 
La poesia. Cos’è? Non lo so. So soltanto che è qualcosa di magico, che ha a che fare con la creazione del mondo, con il cielo che non ha sconti d’infinito, con il mare.
E’ un viaggio dentro e fuori di noi. E’ la capacità di raccogliere dentro per portare fuori emozioni.
E’ forse la forza creatrice di dio. La parola, il “logos” allo stato più puro, acerbo. Seminato con la speranza di vedere crescere le piantine di grano, o i filari d’uva, o distese di mais. O magari un solo piccolo, piccolissimo fiore proprio nel centro del deserto. E’ sicuramente amare le parole al di sopra di ogni altra possibile, immaginabile cosa.
 
Ecco. Io non ho visto tre donne ieri. Ho visto tre diverse forme di poesia, di pura poesia, lasciare andare le parole scritte per regalarle agli altri.
 
“…il catasto reale di quanto possiedo si sfugge da me e rincorro e confondo l’essenza la presenza e l’ombra”
“…voglio vincere il dolore quello che mi leva il respiro la tristezza che tutto devasta nel giardino del poi.”
“…l’amore non si scrive, si vive… Non sosta ad alcun passaggio, è ritrovarsi in una lacrima a navigare…”
 
eccole le parole che arrivano. Sostano come il soffio del vento e poi scendono dentro. A riempire. A nutrire. A far germogliare vita.
 
Le rivedo oggi, quelle tre donne. Piccole, sedute in fondo alla sala. Niente microfono, niente luci trionfanti. Ma dei fogli, dei libri. Dei cuori. E un ragazzo con una chitarra che accompagnava quelle parole.
 
Ah, non la si può toccare la poesia. Esiste e basta.
 
“…la mia vita raccolta su di me, ogni volta che ho avuto paura, è un oggetto.“
“…non esiste la giusta misura, limite estremo. Solo i tuoi occhi. Riflesso dei miei.”
“…ha una spina di rosa milioni di rugiade che penetrano nel cuore.”
 
Grazie Angela, grazie Emma, grazie Regina.
 
Perché avete regalato le vostre parole, senza chiedere nulla in cambio. Se non un sorriso, e quel qualcosa che teniamo stretto nel cuore, e chiamiamo poesia. E non sappiamo cos’è.
 
E sono andato via da Chiari, a notte fonda. Non si vedevano stelle, perché le nubi nascondevano il nero dell’infinito e quell’altrove smisurato che ci circonda. La casa del pittore è ancora là. Ma le parole sono volate leggere, oltre ogni possibile spazio di tempo. Per restare per sempre.
 
 
 
 
Le citazioni in corsivo sono prese dai libri:
 
“Ditemi!” di Angela Argentino
“Il silenzio è una formica” di Emma Di Stefano
“Al mercatino delle pulci” di Regina Resta
 

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