Scritto da © ferdigiordano - Mar, 24/01/2012 - 13:26
Non credo si possa controbattere all’utilità delle rotatorie; la continuità del cerchio induce la permanenza di quel torpore pneumatico che da solo dirime la curva mentre già vi sei dentro. Spezza la corsa con una frusta centrifuga. Inibisce il sorpasso se non sei pronto a passarle nel centro, come fossi in vena allo schianto e ne esaltassi il dono.
Quindi, resta la curva; e ci si assiepa nel circolo giudizioso che descrive l’uscita, senza che mai una parola sia posta all’entrata, tranne “Per me si va nella città dolente, per me si va al solo interno” È il serpente d’asfalto e sibila prima di mordere al successivo incrocio.
Intuibile la resa dei semafori: sventolano bianche pedonali per il loro colore d’inferno. Si circuiscono le aiuole, le si lascia tutte al verde in attesa che piova. Ma non piove e c’è bisogno d’acqua dove manca l’ombra, ne consegue che lì anche il sole fa la sua rivoluzione.
È la gestione del poliedro dei cespugli, l’etica verde che sostiene la circolarità delle direzioni. Il vero riassunto dell’equatore nel microcosmo trafficato delle chiusure. Si pensa sempre di essere i soli, ci si scopre in quell’orbita tra tanti satelliti vuoti.
Quello stesso viaggio sintomo della lievitazione di nuovi incontri, fuori dal mito del cortile, circoscritto alla retorica dei portoni, alla memoria del bacio fugace al secondo gradino delle scale di casa, allo scimmiottamento di fiori rosa, fiori di pesco: eri tu? Fiori nuovi, stasera esco: ho un anno di più. Ai tremori inestinguibili della notte, dove la manovalanza del sesso, l’autotassazione nello sfregamento dei pubi, superava di gran lunga il costo per un mezzolitro di miscela salivale. Ed era giocare all'adulto. Sentire il rantolo dei pantaloni, sdruciti in proprio, adescati dall'usura delle scuole. Intontiti come calabroni in un ventoso maggio di odori ascellari, o dalle ninfee nelle gonne. Mai viste, mai debitamente colte: soldi di cartapesta alle pleymate.
Ma crescere, maturare, riprodursi sugli asfalti non è la connotazione auspicabile a chi ancora attende l’arrivo dei figli dei fiori. I fiori: per loro imprescindibile dovere, si pongono nelle rotonde, ai lati delle ruote, si proclamano labbra in quel volto umano del prato che trasforma una cartolina dal luogo montano in foto segnaletica dell’ossido di carbonio.
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