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Scrivere

Scrivere. Era questo l'elemento predominante della mia vita. Scrivere continuamente su tutto e su tutti. Sì, lo so, scrivere così, in questo modo, non ha aspetti positivi. E' sintomatico di un'ossessione, che non lascia campo all'esistenza. Scrivere come faccio io, senza altri punti di riferimento è pura alienazione, ma forse questo accade perché è esattamente come la mia vita o forse meglio, come la mia non vita. Ecco che, dopo una serie di articoli, per rivistine varie e alcuni post sparsi su blog monotematici ebbi ancora l'ennesima importante notte insonne. Sì perché la notte insonne, per me, è come l'ostetricia delle idee.

La fatica dell'ultimo libro (il sesto in quattro anni) che avevo pubblicato è stata esattamente come il parto naturale per le donne, con la differenza che era durato 9 mesi e senza epidurale. Venti capitoli distribuiti in 190 pagine con citazioni, rimandi e postille varie che si spalmavano lungo il testo in modo caoticamente uniforme. Anche se molto ridimensionato era davvero simile alla lontanissima tesi universitaria sulla teoria delle reti. Una tesi fatta però, quando ancora l'università aveva un senso. Quelle sì che erano tesi vere, mastodontiche, impegnative. Quattrocento pagine così intense, che si faceva fatica pure a girare le pagine. Ma quella notte, sembrava avessi già dimenticato il dolore delle gestazioni precedenti. La notte porta consiglio? Non so. Forse sì. Forse no. Quella mattina chiamai l'editore per la mia proposta di libro è mi stroncò le gambe.

"Stai scherzando?" Mi urlò al telefono.
"Ancora un cyberpunk del c...?" Scusate la forte perifrasi, ma era il tipico francesismo che distingueva la logica delle argomentazioni.
"Si ma questo sarà diverso" tentavo di convincerlo
"Diverso? Diverso da che? Le librerie non vendono più lo capisci oppure no. Devi farmi libri di cucina lunare, di cose mai viste ma che siano reali (al limite dell'antitesi). Solo così quella st... della mia suocera si degnerà di comprare un libro della mia casa editrice. Capisci quello che intendo?"
"Non so. Forse, lo sai, io ho l'idea che un libro..." mi interruppe senza ritegno.
"E' piantala con le st... che vuoi salvare il mondo. La fantascienza è morta, defunta, finita, mettitelo in testa, serve solo ad inventare qualche ciclo cinematografico. Tu devi fare tutorial su come trovare porcini trifolati, pescare trote grigliate progettare bistecche di insetti. Mi devi trovare la Sora Lella del tofu, che piaccia a questa società di vegani str... e castrati come te. Devi pensare più alla f... hai capito?" Non fateci caso dice cose che non pensa.
"Ho capito ma magari può risorgere no? Gli americani riesumano la Marvel, perché noi non riesumiamo un bel romanzo cyber come si deve."
"No!" Fu la sua ultima risposta capibile oltre al vaff... sfumato.

Forse aveva ragione lui, un romanzo cyberpunk non era una buona idea. Ma si, poi tutte quelle storie intrecciate così come avevo pensato in quella notte agitata. I livelli multipli di lettura, mischiare "Blade Runner" con "l'Atlante delle nuvole" e poi ancora quel mondo di robot pieno di pioggia e d'olio motore per il raffreddamento delle micro turbine. Il robot killer e le violazioni di protocollo come in Automata, le leggi di Asimov. Avrei incluso tutto anche la rete Skynet e figurarsi se non includevo una rivisitazione della conversazione fra l'architetto e Neo. La verità era che pensavo ad un macinato di quella letteratura. Che tipo di pubblico avrei raggiunto? Tutti gli esercizi sulla scrittura emozionale sarebbero serviti a poco. Inutile disegnare il trump d'oeil dei concetti e metterli in un libro letto da un pubblico di non vedenti. Non c'è spazio per questo tipo di scrittura, né argomento che lo possa svelare.

Ma le notti seguenti gli incubi tornarono e tutti i personaggi presero forma. Le frasi divennero paragrafi e sottocapitoli poi capitoli, creando storie di storie in un continuum senza fine. I personaggi così presero forme caratteriali e si muovevano in ambienti paralleli al mio. In un istante si creavano dal nulla mondi paralleli con case palazzi, quartieri e intere città abitate. Qualche volta erano ambienti angusti altre volte spazi ampissimi dove i protagonisti si muovevano e interagivano fra di loro. Da questa parte della realtà c'era invece la mia insonnia implacabile, che mi trasformava il letto in una indiavolata centrifuga di lavatrice. Rotolavo su di esso senza tregua, fino a quando non arrivavano le prime luci dell'alba, quando stremato collassavo in uno stato di incoscienza. Qualche volta tentai di reprimerli, uscendo la notte e vagabondando fra le vie di questa periferia cittadina. Seguivo tragitti e percorsi tutte le volte diversi, speravo che il fresco dell'albeggiante brezza mi potesse distrarre da quella che stava diventando una folla nella mente. In quel onirico mondo discutevano, litigavano e parlavano continuamente in un borbottio continuo che non mi dava tregua. Non né potevo più. L'ultima notte presi il coraggio a due mani e decisi di far zittire tutte quelle voci imprigionate e isteriche. Era giusto così, le liberai dalla mente e iniziai a scrivere.

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