Parte quattro Edizione Italiana
Era prossimo il settantesimo compleanno di Rosa Pirona, e per chi non la conoscesse bene, appariva ancora una donna giovane e attraente. Il suo corpo era rimasto agile e aggraziato e nessuno le avrebbe dato più di cinquantacinque anni. Durante gli ultimi anni, dopo la scomparsa di Angelo, si era data molto da fare in diverse attività, che la tenevano occupata dal mattino presto sino a sera tardi. Dedicava il suo tempo nell’aiutare i bisognosi in lavori caritatevoli, prestando il suo aiuto come infermiera volontaria con le Blue Nurses, e portava le sue cure ad anziani bisognosi, visitandoli nelle loro abitazioni. Per i suoi svaghi preferiti aveva riservato il giovedì, giorno che trascorreva piacevolmente al Bowling Club locale, mentre assieme agli amici giocava alle bocce. Il martedì invece, visitava l’unica figlia e a volte dedicava quel tempo libero per quell’occasionale amico che apparisse all’orizzonte.
Il fine settimana, il suo preferito, lo dedicava a vecchie passioni, pesca e pittura, che aveva incominciato ad amare in giorni lontani assieme ad Angelo, passioni ininterrotte per quasi cinquant’anni, sin dal giorno che pose piede nella sua terra di adozione.
Quasi una vita intera era trascorsa da allora, ma in quel lungo andare del tempo, Rose mai ebbe un rimpianto di aver lasciato il suo paese alpino e la vita che aveva vissuto in gioventù, prima del suo arrivo sul continente Australiano.
Angelo propose un giorno di ritornare in Italia, ma lei rifiutò. Per lei quello era un capitolo chiuso. Aveva posto un grosso macigno sopra il passato, e non esisteva più. Quella parte della sua vita era una parentesi, un segreto ora nascosto solo nel suo cuore. Mai si era lasciata scappare la minima confidenza con nessuno di quei giorni lontani, nemmeno con la figlia oppure Angelo.
Erano passati ora due anni dalla morte di Angelo, e le notti erano troppo lunghe, nel solitario letto matrimoniale e spesso erano pure insonni. In quell’estremo silenzio notturno era prona vagare con il pensiero e rivedeva quei giorni lontani che furono molto tristi per lei.
Ricordava; “…Fu allora che venni presa dalla disperazione mentre ero completamente sola. Ero costretta a vivere in una città a me sconosciuta e lontano da dove ero nata. Erano tempi assai pericolosi e dovevo tenere nascosto il mio passato. Fu in quei giorni che decisi si seppellire in me stessa il passato della mia vita e mai più ritornare a quel paese che mi aveva procurato unicamente sofferenze. Era impellente il bisogno di scordare chi fui e dare inizio a una nuova me stessa che ridonasse la fiducia nella vita. Volevo essere nuovamente la passionale giovane donna come lo ero spesso prima di quei giorni penosi. Per fare sì che ciò fosse possibile dovevo abbandonare tutto ciò che era legato al passato. Dovevo andare il più lontano possibile, trovare un nuovo paese dove fossi sconosciuta.”
Vivere sola era la causa dei ricorrenti pensieri che la riportavano indietro nel tempo. Ricordi che erano stati sepolti e mai svelati, cose di un tempo remoto tenute nascoste anche per se stessa. Ugualmente ora quei ricordi ritornavano alla memoria e ritornavano con la chiarezza di allora. Il passar del tempo aveva smussato gli angoli acuti dei fatti e il dolore era divenuto più sopportabile. Ora il passato non faceva più soffrirne, la lunga pausa d’agonia era più dolce e null’atro che un ricordo. Si era finalmente liberata dalle passioni passate. In questa tregua era possibile analizzare e giudicare meglio quei giorni, quei fatti, quelle passioni umane che avevano inflitto una morte spirituale in lei. Tutto era divenuto chiaro e comprensibile. Vedeva tutto sotto una nuova luce che dava modo di analizzare meglio la giovane donna che era esistita in lei e ora non aveva più paura. Sapeva che nulla ora avrebbe potuto scalfire la sua nuova vita, la vita di Rose.
Si accorse che rivedeva il passato quasi con distacco come fosse lo scorrere di una vecchia pellicola, che ritornava immagini in uno sbiadito bianco e nero. Vedeva lo scorrere della vita di una giovane donna, che era null’altro che la sua vita giovanile. Oggi le era possibile analizzare lucidamente quei fatti lontani, ed era evidente perché quella giovane donna apparisse ora come un’ombra vaga, forse un po’ passata di moda e anche dimenticata in quella lunga pausa. Oggi quell’ombra era innocua e non avrebbe più influenzato sulla vita della donna che esisteva oggi in sua vece. Quella donna aveva raggiunto la maturità negli ultimi cinquant’anni trascorsi nella nuova terra, vivendo in un modo più liberale, ricevendo un’educazione civica più imperativa, negando preconcetti troppo vecchi e radicali. Ora si sentiva una donna diversa, ed era pronta ad accettare sbagli commessi in gioventù, che ognuno di noi può commettere. Ora Rose, vedeva in fronte a lei una prospettiva diversa, reale e accettabile e comprendeva che quella vita giovanile era di poco dissimile da molte altre giovani vite.
La vita di quella ragazza del passato, che stava scorrendo in fronte a lei, la vedeva ora più umana e reale. Con lo scorrere delle visioni poteva rispecchiarsi entro la Lucia di allora, giovane e piena di passioni e sogni. Non si sentiva più umiliata dal proprio passato. Rose aveva finalmente riscoperto il suo passato.
~*~
Ecco come Rose poté riassumere la sua vita come fosse narrata da una voce conosciuta;
“Era il due di ottobre quando giunsi in Sydney. A giorni saranno trascorsi ben cinquantun anni del mio arrivo.
“Quel giorno, la Motonave Roma aveva attraccato da poco al molo di Wollomooloo in Sydney, mentre Angelo, pazientemente attendeva lo sbarco dei passeggeri. Quello sarebbe stato il nostro primo incontro, prima di allora ci scambiammo unicamente alcuni scritti.
“La nostra conoscenza fu possibile a un fatto casuale, dopo aver letto un annuncio pubblicato sul Gazzettino Veneto. Leggendo venni a conoscere che Angelo desiderava la compagnia di una giovane donna friulana, che volesse raggiungerlo in Australia, dove si sarebbero sposati.
“Mi sentii incuriosita, per me quello era un modo inconsueto per accasarsi. Nello stesso modo, cercai di leggere tra quelle righe scritte, per comprendere meglio che tipo di uomo fosse lo scrivente. Alla fine lo giudicai abbastanza onesto e risposi con una breve nota a mio riguardo. Occorse tempo per ricevere una risposta, e quando ricevetti una nuova lettera, mi ero quasi scordato di quello sconosciuto. Mi parlava di lui e della sua vita e delle speranze per un futuro, formando una famiglia. La cosa che mi fece più piacere fu la sua sensibilità di non avermi chiesto della mia vita passata. Cosa mai avrei potuto dirgli? Mai avrei potuto sinceramente raccontargli la mia vita passata. Ben pochi uomini, in quei giorni, avrebbero compreso e accettato.
“Naturalmente, non poteva pensare che mi fossi innamorata di lui, solo nel leggere quelle poche righe. Ugualmente lo vidi sicuro del successo della nostra vita assieme. Pronosticava che la nostra unione sarebbe stata felice, e ne era garanzia il fatto che fossi una donna friulana.
“Passò qualche mese e, nella sua terza lettera, mi chiese di raggiungerlo. Disse che mi attendeva con ansia per iniziare la nostra vita assieme. Lo sentivo molto fiducioso, e trasmise pure a me quella sicurezza di cui tanto parlava, sicché lo accettai.
“Ora Angelo era in attesa. Era visibile la sua trepidazione. Ripetutamente lo vidi asciugarsi il sudore dalla fronte. Tra le mani aveva un gran mazzo di rose rosse e dandomele lo vidi faticare nel trovare le giuste parole. Alla fine mi baciò sulla guancia mormorandomi: “Sei molto bella e giovane, ti ringrazio per essere venuta, sei fresca come una rosa e da oggi sarai la mia Rosa!”
“Trovai dolci le sue parole e più di tutto mi piacque il modo che mi chiamava “ROSA” e ne adottai subito il nome. Volli da quel giorno che Rose fosse il mio nome. Fu in quello stesso giorno che Lucia cessò di esistere.
“Ci volle tempo prima che potessi conoscere le buone qualità di Angelo e fu attraverso quel periodo piuttosto lungo che imparai che l’amore era possibile.
“Prima di allora, ero stata innamorata con un altro uomo. Poi, finita la guerra, venni usata da diversi altri. Si, furono molti, purtroppo fu una necessità impellente per sopravvivere alle difficoltà causatemi da una guerra crudele.
“La guerra aveva influenzato sui miei giorni giovanili e, feci cose non veramente volute. Fui costretta a fuggire dal paese dove ero nata, e dove divenni donna, innanzi tempo. Là tutti mi conoscevano bene, ma non tutti mi amavano. La causa fu di un gruppo di donne che mi accusò di essere una spia tedesca e un giorno cercarono di uccidermi. Dissero che ero colpevole per la morte dei loro mariti e fratelli, che furono uccisi il giorno prima dai tedeschi in un rastrellamento nella valle vicina.
Sulla Piazza di Santa Caterina, vi era un carico di ciottoli lasciati là per riparare la strada. Una donna del gruppo, raccolse un grosso ciottolo e lo scagliò contro di me urlando ”Devi morire come sono morti i nostri uomini, puttana Tedesca” Le altre donne non furono di meno. Venni colpita da molte pietre, Caddi dopo aver perso conoscenza. Sangue sgorgava a fiotti da me. La fortuna mi fu amica in quell’occasione, qualora Don Felice arrivò in tempo a si scagliò contro quelle assassine, urlando contro loro e le fece fuggire. Ero irriconoscibile mentre il sangue scorreva da diverse ferite e da molti presenti venni ritenuta morta.
“Fu Scanio il sacrestano, che con carità cristiana, mi portò via alla chetichella su un carretto. Vide che ero ancora in vita e, mi portò in un bosco vicino. Mi nascose in una Barna che da tempo era il rifugio di un vecchio dottore. Era un ricercato politico ricercato dai fascisti. Fu il suo buon cuore e l’amore per il prossimo, che salvò la mia vita.
“Mi ci volle un mese per ricuperare le mie forze. Era tempo di andarmene prima che qualcuno desse l’allarme. Scanio ritornò una notte e mi condusse a Udine in una casa di suoi conoscenti, mi disse che sarei stata sicura, ma non rimasi a lungo in quel luogo. La guerra finì alcuni giorni dopo il mio arrivo in città. All’intorno si era creato un caos maledetto con l’arrivo dei partigiani in città. Il padrone di casa impaurito, mi obbligò di andarmene, disse di non voler guai per colpa mia.
“Ero più che mai sola, abbandonata in una città che non conoscevo. Non esisteva una persona amica che mi potesse dare aiuto o un pezzo di pane per sfamarmi. Ero in condizioni disperate e ancor più erano iniziate le piogge.
Non potevo pensare di ritornare a casa, i partigiani spadroneggiavano ovunque, e avevano mille informatori. Usavano una giustizia sommaria verso chi era sospettato colpevole di un passato fascista. In quei giorni su di me esistevano troppi sospetti. Ritornando, dopo un processo sommario, ne sarebbe seguita la fucilazione nell’indomani mattina, in un angolo del cimitero, alla presenza di molti spettatori giubilanti. Purtroppo i fatti reali erano alquanto differenti, mai io fui una complice fascista o nazista, e le accuse contro di me per la morte di alcuni partigiani erano completamente infondate. Come avrei potuto provare la verità?
Tutti in paese mi credevano morta, perciò nulla di meglio che starsene lontani da conseguenze fatali.
“Ero affamata, non avevo vestiti adeguati per proteggermi dalle intemperie. Mi nascondevo nel giardino comunale, spartendo il cibo gettato ai colombi, e trovavo riparo alla pioggia sotto un ponticello del parco. Pregavo che mi fosse concessa una morte senza troppe sofferenze. Morte da me preferita a quanto era divenuta la mia vita. Avevo perso il motivo per rimanere in vita.
“Poi inaspettatamente, il senario della mia vita cambiò. Lo fu con l’arrivo delle truppe americane in Udine. In quel giorno mi mescolai assieme alla popolazione locale sulle vie cittadine per dare il benvenuto alle truppe liberatrici. Fu una lunga parata con grida di giubilo e anche pianti di gioia. Ovunque vi era un grande sbandieramento dei colori Nazionali e americani. Era bello vedere quei soldati esultanti e generosi. Uno di loro mi gettò una cioccolata, un altro mi diede il mio paio di Naylons e un terzo corse verso me, dandomi un grosso bacio sulla guancia e in rotto italiano mi disse, ‘Hay bella, perché non vieni stasera al nostro accampamento. Si ballerà, con molte bevande e cibo gratis. La festa durerà tutta la notte.”
“Non avevo nulla da perdere e vi andai. Trovai ad attendermi John, Il mio bel GI italo-americano. Per la prima volta, dopo lunghi mesi, in quella notte conobbi il piacere di un vero bagno in una vasca ripiena di acqua calda. Poi il mio John mi offrì una rispettabile cena, e alla fine ebbi un vero letto, dove poter dormire. Si, naturalmente condividevo il tutto con il mio attraente GI. Assieme ci ubriacammo e facemmo pure all’amore. Quanto avevo bisogno pure di quello! Giunto il mattino, prima che lui ritornasse in caserma, mise nelle mie mani una crespa banconota di dieci dollari. Non avevo mai posseduto tale ricchezza in tutta la mia vita.
’Poi, come ultima cosa prima di andarsene. John mi disse: ‘Perché non vieni nuovamente al nostro campo? Balliamo ogni sabato sera. Vedrai che ci sarà modo di divertirsi.’
“Non avevo nulla da perdere. Mi sentivo sola e disperata.
“Ebbi modo di riconoscere che dovevo molto al mio aitante John, il mio primo amico GI, che fece rinascere in me, il desiderio di vivere nuovamente. Attraverso lui ebbi modo, durante quelle mie prime visite al campo americano, di venire a conoscere diversi GI. Entro pochi mesi ero divenuta una tra le più popolari ragazze che frequentava regolarmente i loro balli di fine settimana.
Imparai molto da loro e adottai la facile vita dei GI. In quei giorni passavo rapidamente dalle braccia di uno entro quelle di un altro. Mai allora mi passò per la mente che in quello che facevo vi fosse qualcosa di male. La mia vita era facile, giuliva e felice. I nuovi amici erano generosi nel mio riguardo e ricevevo da loro molti doni. Inoltre dopo aver trascorso assieme la notte, al momento di ritornare ai loro quartieri, lasciavano nelle mie mani quella preziosa banconota di dieci dollari. Era il finale ringraziamento per la notte di felicità trascorsa assieme.
“Quello fu il modo come trascorsi i prossimi due anni. Mai ebbi rimpianti o rimorsi di come fosse la mia vita. Perché mai ne avrei dovuto averne? Vivevo sola e dovevo unicamente pensare a me stessa. Inoltre, in quei tempi difficili, quello era l’unico modo di poter scampare l’esistenza.
“Fu in quel periodo che, i GI Americani, furono rilocati in Germania.
Fu allora che vidi l’annuncio di Angelo sul Gazzettino Veneto. Da pochi giorni avevo compiuto diciannove anni, ma mi sentivo con una lunga esperienza di vita.
Era divenuto impellente in me il bisogno di andarmene lontano da quei luoghi dove mi fosse possibile dimenticare il mio passato. Sognavo di poter trovare un posto ospitale che fosse il più lontano possibile. Sentivo la necessità di iniziare una nuova vita, che fosse capace di ricreare una nuova donna in me, migliore di quello che ero allora. In quell’annuncio vidi possibile la realizzazione delle mie aspirazioni. In quel momento non mi chiesi se vedessi in quell’uomo il mio futuro marito. Onestamente, lo vedevo terribilmente vecchio. L’unica cosa d’interesse era il sapere che l’Australia si trovava all’antipodo del mio mondo di allora. Perciò lo considerai come il paese ideale.
In quei giorni lontani occorrevano oltre quarantacinque giorni per attraversare gli oceani con una nave per raggiungere questo paese Australe. Era quanto di più desideravo, lontano abbastanza da tutto il mio vecchio mondo, e ancor più dove potevo rimanere sconosciuta a chiunque al mio arrivo. Era il luogo adatto per dimenticare la Lucia che aveva vissuto in me prima di allora e far si che in sua vece nascesse una nuova giovane donna, piena di speranza in un futuro migliore.
“Rose Pirona, nacque così, in quel giorno del mio arrivo, nel lontano ottobre del 1950. Lucia morì nello stesso giorno. Nessuno in Australia ebbe modo di udire parlare di lei. Era unicamente parte dei segreti ricordi di Rose, ricordi di un passato di colpe.
- Blog di Carlo Gabbi
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