Dicono, parlano parlano quelli che non sanno. Parlano, e mi fissano, come se gli occhi potessero essere sinceri ogni qual volta.
Mentre io dentro mi stringo, rattrappisco.
Eppure fuori è tutto normale. Tra le gote perfettamente rasate, rilassate, le narici non hanno fremiti, l'aria entra ed esce regolarmente, le labbra sono chiuse come mi è stato insegnato fin dai primi anni, singolarmente chiuse. Nessun tic che mi tradisca.
Mi muovo in qualunque ambiente come nulla fosse, riesco a spalancarmi ad un sorriso..
Certo, non a chi ha in viso manifesta l' incapacità di nascondere il dilaniarsi delle viscere.
Questi ancora mi spaventa: di quel novello Caino mi si allaccia alla vita, come il peso della scheggia che usò, la sua furia omicida. E mi trascina.
Giù, giù, giù finché sento che sprofondo.
E' la mia salvezza: almeno un'apparenza di salvezza, ma è meglio del niente.
Lì, nel limbo dei mai nati, ritrovo la serenità di un'esistenza. Lì, posso pensare che la folle corsa ricominci, svolgersi in un diverso modo.
In quel luogo di fumi, fetido di pozzolana, lancio i dadi sul tappeto azzardo. Sarei capace di concepire ciò che ottenebra le altre menti, l'ignoto.
E volarci, malinconicamente, gioiosamente, in perenne salita e caduta libera.
Chi ha detto che c'è bisogno del paracadute se l'aria è tersa, non ferma?
Non certo io signori, non certo io. Da tempo mi giostro tra ali sintetiche per non essere vero.
Coro:
Dottooore, dottoooore, dottore del buco del cul
vaffancul vaffancul
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