Scritto da © Bruno Magnolfi - Ven, 15/05/2020 - 16:41
Mi stanno cercando. Mi sento braccato, come un animale in fuga, ed ho paura di commettere degli errori che portino rapidamente i miei inseguitori sulle mie tracce. Per questo mi sono infilato in questo scantinato buio e umido, per osservare la strada, in questo momento fortunatamente deserta, dalla grata di ferro che si apre al livello del marciapiede. Si stanno ammalando tutti in questo periodo, sostiene la radio; dicono che sono io che ho diffuso questa loro malattia, anche se sono sano, e devo per questo essere fermato, al più presto possibile, proprio per mettermi in condizione di non nuocere, qualcuno dice per isolarmi, altri per incenerirmi, per chiudere definitivamente con me. Non ho fatto niente di male penso, e se devo essere curato sono disposto a farlo, però la radio non dice così, ed io oramai ho paura di tutto. Hanno iniziato i miei vicini di casa a scansarmi incontrandomi, poi li ho visti a gruppetti che parlavano concitatamente tra loro, che telefonavano, che chiamavano probabilmente le forze dell'ordine, o chissà chi.
Così mi sono allontanato rapidamente da casa mia, ma non ho un luogo sicuro verso dove recarmi, così cerco di cambiare continuamente la mia posizione, fingendo ogni volta per strada di essere uno qualsiasi. In giro ormai non si vede quasi più anima viva, se non quelli con le divise che continuano a perlustrare ogni angolo. Sento dei rumori sopra di me, qualcuno dice: "l'ho visto qua". Parlano di me, non c'è dubbio, quindi devo trovare rapidamente un nuovo rifugio. Esco di corsa dallo scantinato e prendo velocemente lungo il viale. Nessuno sembra seguirmi, e a me non conviene certo andare troppo di fretta, attirerei subito l'attenzione di tutti. Così vado a sistemarmi sotto ad una piccola tettoia al margine di un giardinetto, riparato da un muro alla vista di chi sta transitando lungo la strada. La radio che ho nella tasca dice che va trovato al più presto colui che diffonde il bacillo infernale, e messo in condizioni di non nuocere a tutti quanti. Un giornalista ipotizza che gli untori, come dovrei essere io, siano ormai già una decina in questa città.
Passa una macchina con le sirene spiegate, la situazione sanitaria sta sfuggendo a qualsiasi controllo penso, e se agli ammalati inconsapevoli non viene fornita una via d'uscita efficace le cose d’ora in avanti saranno destinate soltanto a peggiorare. Ho fame, devo mangiare qualcosa, perciò entro in un supermercato qui accanto tenendo il bavero della giacca sul viso, in maniera che nessuno mi riconosca nel caso abbiano diramato per televisione delle fotografie. Si entra due o tre per volta, e tutti hanno la faccia coperta: sto tranquillo, metto velocemente i miei acquisti dentro al cestino e vado alla cassa. Nessuno mi dice qualcosa, pago i miei acquisti e poi esco. Ma la polizia è già lì che mi aspetta, con un paio di volanti messe accanto al largo marciapiede di fronte. Muovo la corsa alla mia destra, sento intimarmi qualcosa alle mie spalle, e dopo un secondo viene sparato un colpo di pistola, probabilmente in aria. Tremo, mi immobilizzo, le mie gambe non tengono, mi arrendo, non posso più ancora fuggire, e in un attimo gli agenti mi sono addosso, anche se nessuno di loro mi tocca. Intervengono subito alcuni infermieri coperti con degli scafandri, mi infilano un ago nel braccio e mi mettono rapidamente nelle condizioni di non reagire.
Mi portano via con un'ambulanza attrezzata, le sirene spiegate, una fretta maledetta, tutti che mostrano un nervosismo incredibile, fino a quando vengo tirato giù con una barella chiusa da plastica trasparente, e subito mi introducono in un reparto speciale, mi girano, mi auscultano, analizzano ogni cosa di me, fanno tutto quello che vogliono in pochi minuti, come dipendesse ogni cosa da quei risultati, da quegli esami, da quelle analisi composte da vetrini, reagenti, campioni, elementi di ogni natura. Non oppongo alcuna reazione, sono qui, sembro dirgli a tutti quanti, fate pure ciò che volete. Non ho niente, mi dicono dopo un po’; non sono positivo, posso anche andarmene via, dove voglio; anzi, mi dice un medico, devo immediatamente lasciare libero il luogo, perché adesso sono soltanto un intralcio, un ingombro, uno che oramai dà soltanto fastidio.
Bruno Magnolfi
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