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Gli indifferenti


       M'è sempre piaciuto pensare che il Papa Cattolico avesse carisma sufficiente, essendo l'unico capo spirituale con poteri temporali d'una chiesa che conta fedeli sul pianeta, per impedire o fermare un conflitto armato tra gli uomini e le nazioni. Ma, nella storia,  papi, pope, rabbini, gran sacerdoti e loro religioni non hanno mai fermato una guerra, spesso le hanno fatte scatenare e le scatenano, nel migliore dei casi vedute e vedono scorrere dai colonnati dei loro templi.
       Un semplice uomo: Gandhi, fermamente convinto della filosofia della “non violenza”, impedì una rivoluzione anticolonialistica sanguinosa porgendo, lui sì, mille guance agli schiaffi degli oppressori del suo popolo e non era un religioso, nel senso di ecclesiastico.
         Questo Papa, Francesco, a differenza dei predecessori che con ai piedi pantofole di raso rosso, pur benedicendo e aspergendo soavi parole di pace dall'alto della sedia gestatoria, sono passati sopra il tanfo di miseria che esala da sempre su tanto mondo, si sta “sporcando” le mani con la globalizzazione dell'egoismo, la povertà, la disperazione, con la diversità, con l'altruismo, cercando di riallacciare il senso dell'antica parola evangelica cristiana con la vita moderna, che l'ha dimenticata. Senza codazzi di porporati o duchi è andato a lavare i piedi dei migranti, a celebrare la morte di quelli scomparsi nel tentativo, è sceso tra questi nuovi ultimi della terra. Una buona novella.
         Ci ha chiamato indifferenti, che per un cristiano è peccato esiziale più di matricidio, la negazione stessa dell'assunto del Vangelo. E destinatari di quel j'accuse, abbiamo applaudito alla sferzata, annuito e credo molti pensato già, che anche questo passerà.
          E sono venute puntualizzazioni da parte degli atei devoti, quelli che portano crocefissi eleganti alla catenina, distintivi di santi famosi al bavero della giacca o nel portafogli, che hanno una foto artistica del papa in salotto o nello studio, che si sono sbracciati nella difesa della “intangibilità della vita”, della famiglia tradizionale, nella denuncia della deriva morale, che si dicono non praticanti ma devoti al culto, che è commedia, mera pratica labiale, per i quali gli interessi dello Stato (quello nostro o tutti ?), sono altri e diversi dalla carità cristiana.
              E gli iperrealisti cinici, che dalle loro comode abitazioni, bollano di retorica il rilievo dato al dramma dei ventimila morti annegati nel mare nostrum, le celebrazioni a ricordo della resistenza, delle vittime della shoah, dei gulag, dei desaparecidos, dei ninos de rua, e via elencando, nella speranza mal riposta di dimenticare tutto e vivere sereni dei propri redditi, le proprie letture, i propri passatempi, ancorché intellettuali.
                Sarà retorica?
            

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