Scritto da © Anser - Lun, 21/05/2012 - 23:21
Costa due soldi il “Guayabita de Pinar”
e ti guardavo sculettare di rimando
sull’avenida Santa Catalina, che la notte
e’ una femmina con occhi che fan moneta
e s’asciuga il cuore ad andare, sul Canal d’Entrada
a rincorrere batticuori e scontrini di Chanel.
Altro non esiste, se non il vento
a controcanto sulla strada per San Cristobal
e poi gli stracci del torero bianco sono parole
incise con Montblanc di giada.
“Ah, Fidel...”, incastrato a morire di memoria
tra Ernest che ride [come una spiaggia armoricana]
ed Ernesto, che ancora Santa Clara
“se despierta para verte”.
Tutto va, a rincorrere gonne e amore
[l’alba d’Havana è un rutto del cielo],
uno spariglio di denari, un grido.
Ride, il fantasma di Fulgencio, ancora
che la victoria siempre, ha dolori incisi
sui visi di rughe accese di donne
che hanno figli e cuori desaparecidi.
Le notti sono bambine ad arpionare
hijos de puta occidentali,
con un vaffanculo tra le gambe, debiti d’amore
ed occhi ch’erano d’azzurro e alabastro
prima che il sole raccattasse
il “je m’en foute” di dio.
Scrocchiano bestemmie di marinai
a Puerto Escondido, dove salpa
una vascello per il cielo, per non sentire
le urla di Guantanamo, nella pianura di smeraldo
che qualcuno chiama mare.
Perché ogni notte è come l’andare del vento,
una nenia dolce di pastori.
Gli dèi scendono, piano, senza fare rumore
per non svegliare gli eroi ed i buffoni,
contro ogni naufragio,
ogni rivoluzione.
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