Una delle maggiori perdite del panorama artistico attuale è costituita dal continuo abbondare produzione di immagini prive di simbolismo oltre che di contenuti. Questa mancanza di consistenza e di mistero, si discosta enormemente da quelle forme di rappresentazione artistica che, in quanto a forza ed intensità avevano la qualità del lampo che taglia il buio dell’incoscienza.
Non a caso, gli antichi greci utilizzavano parola “symballein” che significa unire alla radice; al simbolo dunque, era attribuita una valenza unificatrice tra verità nascoste ad altre piu ovvie.
Per i latini invece, l’utilizzo della parola“tesserae”, evidenzia come l’evoluzione della coscienza si muova secondo una specifica traiettoria che parte dal buio dell’ignoranza, per dirigersi verso la luce della conoscenza mediante piccoli tasselli di sapere.
In entrambe le interpretazioni possiamo notare che il processo evolutivo delle nostre coscienze è simile ad un paziente mosaico di tessere dove, grazie ad una certosina composizione, si giunge a conferire senso alle nostre misteriose esistenze.
Nel corso della storia la religione e la psicologia, hanno assolto il compito di custodire, preservare ed illustrare il reame del simbolico; ci hanno fatto comprendere che il linguaggio primordiale spirituale dell’umanità è di natura simbolica e che il mito è alla sua origine, la parola che accompagna il gesto rituale.
Gli esseri umani pensano con le parole ma comprendono ed integrano attraverso i simboli. Se mettiamo a confronto simboli e credenze è più che evidente che i simboli possiedono una immensa possibilità di esplorazione mentale, grazie all’illimitata associazione di idee e di emozioni che essi possono suggerirci.
I simboli hanno la forza di liberarci dal conformismo delle idee e delle immagini preconfezionate, sempre più spesso elaborate a tavolino, grazie al sussidio di tecniche sempre più sofisticate ma incapaci di produrre immagini significative in cui possa albergare anche la minima traccia di spirito.
Siamo costantemente bombardati da immagini e parole che sono solo anemici cloni di se stessi. Forme e segni sterili, impotenti nel suscitare concatenamenti visionari e men che meno idonei a dar vita ad emozioni profonde, a parte, nel migliore dei casi, quel sentimentalismo a buon mercato che oramai sempre più è alla portata di tutti.
Queste sterili immagini hanno sempre più la tendenza ad uniformarsi a quelle che abbondano nelle riviste di moda e che animano il mondo della pubblicità. Volti e corpi seriali tutti della stessa forma e consistenza molto più simili ad oggetti piuttosto che a creature dotate di anima e corpo; tanto che a volte si fa persino fatica a distinguere tra una donna e la carrozzeria di un’auto, tra una persona ed una altra, tra un bimbo ed un adulto, e persino tra un oggetto commestibile ed uno che non lo è.
Il filosofo Merleau Ponty sostiene che la scienza manipola le cose e rinuncia ad abitarle; la stessa sorte sembra essere toccata al mondo dell’arte dove la tecnologia ha notevolmente influenzato il modo di percepire e rappresentare, a totale svantaggio della pienezza di vitalità, emozioni e significato.
Contrariamente alle opere dei nostri predecessori, dove le rappresentazioni avevano una forza irrompente, erano fortemente caratterizzate da un senso di unicità, si ammantavano di simbolismo e reconditi significati e ci invitavano ad inoltrarci oltre l’ovvio.
(continua)
- Blog di Antonella Iurilli Duhamel
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