Scritto da © Antonio.T. - Lun, 28/01/2013 - 21:03
Era una splendida giornata di sole. Quel giorno il cielo e il sole, gli alberi e i fiori, le farfalle e il canto degli uccelli, tutto era presente ai sensi , alla mente e al cuore in modo stranamente diverso; tutto appariva infinitamente più bello, infinitamente più pulito. Quel giorno viveva di un’atmosfera strana. Era come se ogni cosa vivesse in un tempo dilatato, dove passato, presente e futuro si incontravano e si raccoglievano per la prima volta nell’intuizione felice di un’eternità policroma e multiforme. Tutto era presente e conservato nell’attualità di quel pensiero veloce che da tempo ormai andava stuzzicando l’occhio e l’orecchio verso immagini nuove ed impensate. Era una splendida giornata di sole e il sole pareva non volersi stancare di splendere. La luce illuminava, come sempre, le cose, ma erano le cose stesse che splendevano diversamente, quasi avessero in se stesse una fonte di luce e di calore. Le cose, questi esseri strani, pure impressioni di retine vanitose e superbe, asservite da un tempo immemore alla volontà sovrana di un pensiero padrone; le cose, questi esseri strani sempre odiate e mai comprese, stavano lì, nel loro splendore, in una eternità ricurva, senza tempo e senza commenti. Le cose stavano lì, accanto a vecchi pensieri, dietro a future speranze, abbracciate ai desideri di oggi, ostinatamente avvinghiate a tutto ciò che aveva voluto escluderle dallo spazio del visibile. Era come un movimento di danza, un girotondo di bimbi che nel cerchio di mani congiunte stringono il mondo nel ricorrente divenire di luoghi già visti. Facevano capolino tra pensieri nobili e faceti, tentando e insinuando il pensiero, novelle sirene, a lasciarsi andare e cullare da canti dimenticati. Voce profonda che non ha suono, canto immemore che nel silenzio vibra, pulsazione e fremito attonito…chi parla questi mille e mille linguaggi che percuotono l’orecchio con la loro cruda incomprensibilità? Era una splendida giornata di sole, ma già le ombre calavano sempre più lunghe ad intrecciare la terra con la loro oscurità. Un turbinio di pensieri percorrevano il tramonto e nel tramonto svaporavano come nuvole rosa che, non si sa come, gradazione incomprensibile di sfumature e colori, sempre approdano al giorno e alla notte. Pensieri come frecce luccicanti e variopinte folgori che da tempo immemore obliate giacevano in chissà quale angolo del tempo, tracciavano l’aria fresca del primo imbrunire lasciandosi alle spalle scie vaporose di domande e risposte che a loro volta volteggiavano leggiadre in una penombra di possibilità. Il canto del merlo che mai si è capito annunci l’alba o il tramonto, continuava il suo eterno domandare, specchio acustico di risposte già date. Una eternità ricurva di sensazioni, desideri, immagini e suoni vibrava, quella sera, in quell’ansa del fiume, sospinta da una brezza leggera e adornata da mille petali rosa di un pesco sapiente. Io ritornerò. Io ritornerò in quell’angolo del mondo dove caro e dolce è anche il morire. Io ritornerò per essere tutto quello che non sono. Io ritornerò per non essere io. Stella splendente, sguardo sicuro di tempi passati, sole caldo, trastullo e sollazzo di morbide pelli di giovani donne, pallida luna, maliarda signora di poeti e di lupi, di canti e latrati, di veglie e di sogni incantati. . .Io ritornerò e sotto la terra, tra le radici di questo albero in fiore, pettine divino di cristallizzate identità aspetterò le mille forme che adesso non ho. Io ritornerò e sarò molti, pluralità brulicante di vermi aratori, cibo e sostegno di pesci ed uccelli. Sarò erba e fiori, cervo e lupo, aquila e coniglio, ape e cicala. Sarò molti linguaggi e con mille voci canterò la stessa domanda. Io ritornerò in quell’ansa del fiume che io so, uomo ancora, là dove il pensiero esplode e svapora in mille nuvole rosa.
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