Scritto da © Antonio Cristof... - Ven, 09/08/2013 - 07:10
Brano tratto dal mio lbro "Ad occhi aperti, racconti di fantasmi, streghe ed altre apparizioni"
Lettera espresso di Dario ad Alberto
“ Napoli, 12 settembre 2000
Caro Alberto,
non puoi neanche immaginare la gioia che ho provato quando ho ricevuto il biglietto d’invito per la festa del tuo matrimonio del 20 ottobre prossimo venturo. Siamo cresciuti insieme, ed anche se, ormai è un bel po’ di tempo che te ne sei andato su a Brescia per motivi di lavoro, sei sempre nel mio cuore. Come dimenticare i giorni dell’infanzia trascorsi insieme? I giochi che riuscivamo ad inventare con niente; le partite di pallone, poi le ragazze, poi ancora i sogni, i progetti…
Volevamo spaccare il mondo, ed infine ci siamo accontentati di ciò che la vita ci ha offerto: io, impiegato postale e tu metalmeccanico. Eppure, potenzialmente, avevamo tutte le capacità per realizzare qualcuno di quei tanti progetti che buttavamo giù tra una pizza e una birra. Il fatto è che quando si è molto giovani la mente corre senza tener conto della realtà delle cose, e quasi mai si sta con i piedi ben ancorati in terra. Dicevo prima delle ragazze: sai chi si è fatta vedere? Maria, la tua ex. Siete stati insieme per un po’ di tempo, poi, non so bene cosa possa essere accaduto fra di voi, fatto sta che ognuno ha ripreso la propria strada. Non so come abbia saputo che ti sposi, ma si è presentata sulla soglia di casa e, senza neanche entrare, mi ha lasciato un regalo per te. Te lo spedirò insieme al mio, dal momento che io, pur desiderandolo tanto, non potrò essere presente alla tua festa; me lo impedisce una dolorosa lombalgia. Si tratta di un oggetto veramente originale, e solo quando lo vedrai, potrai apprezzarlo in tutta la sua esclusività. E’ un abat-jour come quelli che si vedono nei vecchi film americani in bianco e nero. La base, molto ampia, è laminata tutto intorno in oro zecchino. Su di essa. in rilievo, c’è una scritta quasi del tutto scrostatasi forse in seguito a qualche urto. Dall’unica parola che si riesce a leggere: “Hunc”, si capisce che doveva esserci tracciato qualcosa in latino. Il corpo ovale è in autentica ceramica. Esso è tutto decorato con corolle di fiori variopinti, all’interno delle quali vi sono splendide fanciulle completamente nude che si rincorrono tenendosi per i capelli. Anche la stoffa che copre tutto intorno il portalampade è ornata da disegni: qui vi sono donne, non più fanciulle, non più nude, che, stando in fila indiana, sembrano contare l’una i capelli dell’altra. Sul manico d’argento c’è inciso il volto di una donna bellissima che traspare tra due lingue di fuoco. Come potrai costatare, si tratta di un pezzo d’antiquariato veramente bello, scelto con molto gusto e garbo, certamente costoso, considerandone la manifattura decisamente artigianale ed artistica. Approfitto di questa mia per porgerti i più fervidi auguri e ti saluto calorosamente.
Il tuo amico Dario.”
Telefonata di Alberto a Dario
Brescia, 20 settembre 2000
DARIO Pronto?
ALBERTO Dario? Sono Alberto…
DARIO Alberto! Come va?
ALBERTO Ah, si…bene…e tu?
DARIO Io mica tanto bene, sai…
ALBERTO Come mai?
DARIO Ho un’ernia al disco che mi fa un male del diavolo. Sto a letto perché il dolore mi impedisce di camminare, star seduto, fare qualsiasi cosa. Passo il tempo a guardare telefilm alla tivù ed a fare parole crociate. Come procedono i preparativi per il matrimonio?
ALBERTO Beh, c’è da stancarsi…e da cacciare soldi. Fortuna che, lavorando entrambi, abbiamo qualcosa da parte…Sai, non si finisce mai di spendere…Capirai, la casa, i mobili, il ricevimento…Senti, Dario…
DARIO Hai ricevuto il mio espresso?
ALBERTO Ecco, proprio di questo volevo parlarti!
DARIO Si? Allora dimmi tutto. Non sarai mica dispiaciuto per il fatto che non potrò venire?
ALBERTO No…cioè, si…mi dispiace…Ma, non è questo…Vedi, si tratta di Maria…
DARIO Maria?
ALBERTO Si. Tu sai che io e lei stavamo insieme. C’era, però qualcosa…
DARIO Qualcosa che non funzionava?
ALBERTO Il nostro rapporto funzionava bene: troppo bene! Vedi, non è semplice da spiegare…Ti ricordi quando sono partito per il servizio militare?
DARIO Certo! Sei stato proprio lì, a Brescia.
ALBERTO E’ stato allora che ho conosciuto Carla…
DARIO Ma quando sei tornato hai continuato a filare con Maria…
ALBERTO Non dipendeva da me. Come fartelo capire? Quando son venuto qui per il servizio di leva, sono riuscito a tagliare tutti i ponti con Maria: non le scrivevo più, non le telefonavo, non rispondevo alle sue lettere…Quando lei riusciva a chiamare in caserma, facevo dire che non c’ero. Una volta è perfino venuta di persona e sono riuscito ad evitarla. Il caporale di giornata disse che qualcuno fuori mi aspettava. Quando vidi che era lei, rinunciai alla libera uscita pomeridiana. La vedevo passeggiare avanti e indietro e guardare se, tra i commilitoni che uscivano a flotte, ci fossi anch’io. Chiedeva all’uno e all’altro se mi avessero visto: qualcuno indicava il dormitorio, qualcuno la mensa, qualche altro scuoteva il capo in senso di diniego. Poi, lei fissava la vetrata della camerata, dietro la tenda veneziana della quale c’ero io che spiavo. Sembrava che mi vedesse! Allora ritiravo il capo, indietreggiavo fin nel corridoio, ma sentivo ancora il suo sguardo su di me. Tutto questo per tre giorni di fila, capisci? Eppure, lei mi attirava irresistibilmente…mi inebriava. La sua passione era sconvolgente: mi dominava, penetrava nella mia mente e la “circoncideva” con il suo volere. Non riuscivo a vedere altri se non lei; a sentire altro se non la sua voce, che era dolce e melodiosa come quella di una sirena, ma anche ferma e decisa. Lei sapeva sempre cosa fare e cosa dire. A volte non diceva nulla: mi parlava con lo sguardo. Con i suoi occhi fissava i miei, ed io non riuscivo a distogliere l’attenzione dal vortice delle sue profonde pupille. In poche parole, Maria controllava la mia volontà…
DARIO Non ti sembra di esagerare?
ALBERTO Dovevo allontanarmi da lei, dall’enorme influenza che esercitava su di me! La “chiamata” militare arrivò opportuna come non mai! Quando riuscii a sottrarmi al suo istinto, riacquistai la capacità di intendere e volere, e feci, finalmente, le mie scelte di vita. Inutile dirti che lei non era d’accordo che io me ne venissi poi a lavorare in fabbrica quassù a Brescia. E non ci sarei venuto se non avessi trovato, chissà come, una forza intensa che, con la complicità dei miei genitori e dei miei fratelli, mi avesse permesso di andar via nottetempo, lasciando tutto e tutti.
DARIO Già. Non ti nascondo la mia meraviglia quando telefonai a casa tua e mi dissero che eri andato via…così…senza neanche salutare.
ALBERTO Vedi? Non potevo! Non dovevo! Se avessi esitato un solo istante, non sarei più partito. Ancora oggi il ricordo del suo sguardo mi perseguita e mi condiziona nei rapporti con Carla.
DARIO Beh…A me è sembrata una ragazza come tutte le altre…
ALBERTO Ma da dove veniva? Chi era? Chi è? L’abbiamo conosciuta insieme…Ricordi quella notte sul lungomare?
DARIO Già, c’era una luna stupenda ed io ero con Antonella…
ALBERTO Ma io non ero con nessuno. Facevo da “terzo incomodo”. Quando vidi quella ragazza, da sola, seduta nella spiaggetta giù alla marina, mi parve opportuno togliervi il disturbo…
L’avvicinai facendo finta di niente, tracciando con i piedi linee sulla sabbia. Lei era lì, con lo sguardo rivolto alla striscia luccicante d’argento che la luce della luna proiettava sulle acque del mare. La scena era fantastica, romantica, poetica e mi suggeriva cento pensieri e mille parole. Fu così che, una volta giunto alle sue spalle, mi vennero in mente i versi di una vecchia canzone napoletana: “Io m’arricordo ‘e te, quanno sto vicino ‘o mare…”. E lei rispose subito, con una voce stupendamente melodiosa ed intonata: “ Quanno l’onna, chiano chiano, vasa ‘a rena e po’ scumpare…”. Ed io di nuovo: “Luna, lù che guarde e me siente ‘e suspire ‘e ‘sti lacreme amare…”. E lei, ancora: “Quanta sere, ccà, miezz’’a ‘stu mare, cu’ ‘na nenna m’hè ‘ntise ‘e cantà!…”. Sembrava che mi leggesse nel pensiero. Quando girò la testa, nelle sue pupille si riflesse interamente l’astro d’argento in tutto il suo fulminante splendore. Mi guardò con l’aria di chi mi conosceva da tempo, e mi disse:- Sei qui, finalmente!- Pensai che mi avesse scambiato per un altro:
- Come? Come dice, scusi?-
- Ci credi nel destino? – disse sorridendo:- Era scritto che questa sera dovevamo incontrarci..- Mi disse che il destino di ognuno di noi era come un libro già scritto dall’inizio alla fine; che il passato erano le pagine già lette; che il presente: quelle che si stavano leggendo, e il futuro: quelle che si dovevano ancora sfogliare. – Sussistono esseri al mondo, - disse – in grado di percepire il contenuto delle ultime pagine e, quindi, di presagire gli accadimenti. Ed in certi casi, è tale la loro potenza che essi possono governarli e alterarli.- Il nostro fu subito un rapporto intenso, esclusivo. Non ti nascondo che da principio mi piaceva smarrirmi tra le sue braccia: il profumo del suo corpo m’inebriava; i suoi occhi m’incantavano; il piacere assoluto possedeva finanche la mia anima. Poi m’accorsi che questa fatalità era tanto potente da farmi dimenticare tutte le altre cose: la famiglia, il lavoro, gli amici…In poco tempo ero divenuto un altro, variando perfino i miei gusti estetici e le mie abitudini alimentari. Sentivo la sua costante presenza anche quando lei non c’era. La sua immagine mi perseguitava…Poi, finalmente, riuscii a reagire ed a liberarmi! Ti giuro, amico mio, mi sembrava di essere rinato! Non so come, trovai la forza e venni via, di notte, come già ti ho detto. Non ho mai saputo veramente chi in realtà lei fosse, da dove venisse…Non mi ha mai parlato della sua famiglia…delle sue origini. Non sono mai stato a casa sua, dove non mi ha mai permesso di riaccompagnarla: - La gente…E’ meglio stare attenti alla gente…E’ cattiva la gente! – diceva. La gente? Attenti alla gente? E’ cattiva la gente…Perché? Perché attenti? Perché la gente era cattiva?
DARIO Ma, gli avrai pure telefonato qualche volta…
ALBERTO Solo sul cellulare. Senti, Dario, ti ho telefonato a proposito del suo regalo…Vedi…non è gradito…ti prego di non mandarmelo.
DARIO Veramente…l’ho spedito proprio questa mattina…
ALBERTO L’hai già spedito, dici? Poco male: non lo accetterò!
DARIO Purtroppo ne ho fatto un sol pacco col mio…
ALBERTO Ah! Beh, allora…accetterò il pacco, e poi ti rispedirò quel suo regalo, così, quando lei si rifarà viva, glielo riconsegnerai, per favore…Adesso, devo proprio salutarti…scusami…
DARIO Certo. Ci sentiamo, eh?
ALBERTO Ciao…
Dal “Giornale di Brescia” del 5 novembre 2000
“Un drammatico incidente automobilistico è accaduto ieri sera, verso le undici. Una Fiat Punto SX, con a bordo due giovani sposi: Alberto Natoli e Carla Bacci, è sbandata mentre percorreva via Biseo e si è fracassata scontrandosi con un vecchio Ford Transit, guidato da Cosimo Missa, che aveva da poco svoltato da via Frigerio. Nell’urto, la donna è stata sbalzata fuori dall’abitacolo ed è deceduta sul colpo, mentre il marito, estratto dai soccorritori dalle lamiere dell’auto, è stato trasportato, in stato di choc, in ospedale, dove gli è stata riscontrata una grave lesione alla colonna vertebrale. Solo leggermente ferito, per fortuna, il guidatore del furgone. I Carabinieri hanno recuperato, tra le lamiere dell’auto, un artistico abat-jour in ottone e ceramica, incredibilmente ancora tutto intatto.”
Lettera di Alberto a Dario
“Brescia, 23 aprile 2002
Mio carissimo amico,
non puoi neanche immaginare quante volte abbia pensato in tutto questo tempo di telefonarti, ma non l’ho fatto. Oggi ti scrivo non per rendermi compassionevole, perché posso assicurarti che in questo momento la compassione è l’ultima cosa di cui ho bisogno, ma per narrarti dei fatti che voglio vengano a tua conoscenza.
Tu non hai potuto metterti in contatto con me perché, mio malgrado, ho cambiato casa, numero telefonico, e non ho più il cellulare. Forse avrai chiesto di me a mio fratello che ti avrà detto qualcosa; avrai saputo delle disgrazie della mia famiglia. Forse mi avrai cercato…ma, inutilmente. In seguito all’incidente di cinque mesi fa, ho riportato una lesione alla spina dorsale con conseguente immobilità permanente degli arti inferiori. Imparare a vivere su una sedia a rotelle è già di per sé impresa ardua. Le mie difficoltà, per i fatti che adesso ti racconterò, sono state ancora più insormontabili. E’ stato difficile accettare la mia nuova condizione, già limitata dal pregiudizio altrui e da enormi barriere architettoniche delle quali, prima, ignoravo totalmente l’esistenza. Oggi la risoluzione di elementari problemi pratici, come l’accendere la luce, prendere un succo di frutta dal frigo o l’impossessarmi di carta e penna per scrivere questa lettera, rappresenta la mia prevalente attività mentale. Però, tutto sommato, ora sto bene, mentre fino a ieri non era così. Dovrò cominciare a raccontarti dal ricevimento del tuo pacco dono. Per i soliti ritardi postali, ci fu recapitato al precedente indirizzo durante la nostra assenza, quando eravamo in viaggio di nozze ad Atene. Fu una settimana splendida, e tante erano le cose da fare e da vedere, che non abbiamo potuto fare e vedere tutto. Alloggiavamo all’hotel “Titania”, a pochi passi da piazza Omonia. Il giorno dopo l’arrivo, in un bazar, conoscemmo una ragazza italiana, fidanzata con un marinaio greco: Sara, che ci fece da guida in quella sconfinata e mistica metropoli. Posso dire che già da allora ebbe inizio la nostra terribile odissea. Sara, infatti, era una cartomante dilettante, ed una sera, nella nostra stanza d’albergo, volle mettersi alla prova scrutando nel nostro futuro. Bene, per quante volte abbia mescolato le carte, ce n’era una che non mancava di sortire: la morte: - Siete sotto la nefanda influenza di un feticcio – disse – qualcosa che avete già con voi senza saperlo; un oggetto nefasto che vi seduce ad eventi malefici. Dovete liberarvene subito.-. Per quanto un po’ scettici, ci interrogammo per cercare di individuare quale potesse essere mai quest’oggetto, ma invano. Di ritorno a Brescia, la portiera ci consegnò il pacco con il tuo regalo (veramente bello e gradito) e l'abat-jour. I nostri pensieri si fusero repentinamente in tutt’uno e divennero all’unisono parole: - Eccolo! E’ questo! Dobbiamo liberarcene subito!-. Non aspettammo neanche tanto, e la sera stessa, dopo aver infilato l’oggetto in una busta di plastica, scesi di corsa le scale e lo depositai in un cassonetto dell’immondizia giù al palazzo. Pensavamo di essercene liberati, ma grande fu lo sbalordimento quando, la mattina dopo, aperta la porta, ritrovammo la busta depositata accanto all’uscio. Pensai che qualcuno avesse voluto farci uno scherzo di cattivo gusto, ma non riuscivo a capire chi potesse essere stato. – Carla…- dissi a mia moglie, rientrando, -…qualcuno ha riportato questo...- e trassi fuori l’abat-jour dalla busta, intatto e stranamente luccicante. Colsi nello sguardo di mia moglie una sensazione d’incredulità e paura. Per rassicurarla, dissi:- Bene, adesso lo porterò più lontano e lo depositerò in terra da qualche parte. Vedrai che a nessuno verrà in mente di riportarcelo.-. Così feci: mi allontanai fino a giungere nei pressi del castello bresciano, dove depositai la busta in un altro cassonetto. Tirai un grosso sospiro di sollievo e me ne tornai a casa, godendomi bel bello la passeggiata, allietata da un’arietta tiepida veramente insolita in quel periodo autunnale. Ma quando giunsi sulla porta di casa…ritrovai la busta. L’oggetto, dall’interno, emanava un chiarore prima flebile, poi via, via, sempre più intenso. Automaticamente raccolsi la busta per guardarvi dentro, e proprio in quel momento Carla aprì la porta: - Non l’hai più dato via?- disse. Ed io, per non spaventarla:- No…ho…ho pensato…Sai cosa faremo? Ho ancora qualche giorno di ferie, e domani faremo una magnifica gita sul lago…magari a Gardone, e alla prima occasione lo butteremo via e…”buonanotte ai suonatori”! Il giorno dopo, di buon mattino, ci mettemmo in viaggio, ed in auto, da Brescia, raggiungemmo Gavardo, un paesino di poche anime attraversato dal fiume Chiese. Appena fuori dal centro abitato c’è un ponte. Fermai la macchina e, senza dir parola, presi il fagotto e lo scaraventai di sotto, nell’acqua. Gardone Riviera sorge un po’ più a nord di Gavardo. Si tratta di un bellissimo centro sul lago di Garda, attrezzato di tutto punto per il turismo. Qui trascorremmo una splendida e spensierata giornata: era il cinque di novembre, ed il sole scottava quasi come in Agosto. La natura è stata prodiga di flora da queste parti, e chi, come me, ne apprezza i colori spettacolari dell’autunno, non può fare a meno di restare estasiato di fronte alla bellezza di un paesaggio così unico e variopinto. E’ vero che i colori dell’autunno sono belli come quelli dell’estate! Mi sentivo bene, libero, respiravo a pieni polmoni un’aria che sembrava addolcirmi l’anima. Avevamo trascorso l’intera giornata in un residence, lasciando l’auto nell’apposito parcheggio. A sera, nel rimetterci in macchina, avemmo l’orrenda sorpresa di rivedere il pacco poggiato sul sedile di dietro, ed al suo interno l’abat-jour, sempre più luminoso! Carla lanciò un grido di terrore e dovetti sorreggerla per evitare che finisse in terra. Io stesso ero esterrefatto. Cercai di allungare le mani verso la busta, ma un sibilo, come di serpente, mi bloccò letteralmente. – Lo butteremo giù, strada facendo, nel buio. – dissi. Con grande apprensione e cautela, entrammo in auto e ci mettemmo in marcia. Gardone dista da Brescia non più di venticinque chilometri, eppure quel viaggio di ritorno mi parve interminabile. Ogni tanto, attraverso lo specchietto retrovisore, guardavo il sedile posteriore, dove la luce rinveniva sempre più lancinante. Eravamo nelle vicinanze di casa, quando questa divenne abbagliante tanto da rischiarare tutto l’interno dell’auto. Guardai attraverso lo specchietto e vidi un’ombra gigantesca, ingobbita proprio sul sedile posteriore. Nella sua enorme testa, dalla quale fuoriuscivano due lunghe sporgenze, erano accesi un paio di occhi maligni che abbagliavano come fari. Due braccia lunghe e pelose scardinarono la portiera di destra, poi sollevarono letteralmente Carla e la scaraventarono fuori dall’abitacolo. Gridai e persi il controllo dell’auto, che andò a schiantarsi contro un furgone che proveniva dal senso opposto. L’ impatto fu violentissimo! Rimasi incastrato tra le lamiere dell’auto in stato di semincoscienza e sentii una mano accarezzarmi il volto; forse era quella del demone, forse no…forse quella di un angelo. Lanciai un ultimo spento sguardo al cadavere di Carla che giaceva lontano, supino sull’asfalto…poi, più nulla.
Quando mi risvegliai in ospedale, un’altra mano mi accarezzava il volto: era quella di Maria. Chiesi che giorno e che ora fossero: - Sono le sei pomeridiane del 9 novembre.- mi rispose lei con un tono di voce premuroso e accattivante. Chiesi di Carla, e lei mi rispose con un silenzioso sorriso. –La signora, purtroppo…non ce l’ha fatta. – fece un medico presente nella stanza con un’infermiera. Ricordai subito tutto: l’abat-jour, l’auto, il demone, lo scontro, le braccia che sollevarono Carla, il suo corpo inerme, disteso in mezzo alla strada. Maria continuava a sorridermi: - Ora ci sono io…-disse:- penserò a tutto io…tutto si aggiusterà…tutto ritornerà come prima.- A cosa avrebbe dovuto pensare? Cosa si sarebbe dovuto aggiustare? Ma soprattutto mi angustiava il fatto che tutto sarebbe tornato come prima! Chiesi dei miei genitori e dei miei fratelli. Mi disse che erano giunti il giorno dopo l’incidente:- Son dovuti andar via questa mattina .– disse – Casa loro ha preso fuoco, pare, per un corto circuito. Poi, stavano tutti male…devono aver mangiato qualcosa…forse roba in scatola…chissà…forse in albergo…Ma tu non hai bisogno di nessun altro…ci sono qua io per te…-
Non avevano mangiato nulla che poteva aver causato loro tanto malessere, eppure, mio padre ed uno dei miei fratelli morirono dopo pochi giorni. Non molto tempo dopo, mia madre rimase folgorata in casa di una sorella in seguito ad una banale scossa elettrica.
Io divenni un suo oggetto: quasi un perfido giocattolo col quale divertirsi. Fu lei che mi fece cambiare casa, mettendo via tutto ciò che poteva ricordarmi Carla. Mi tolse finanche il cellulare. Ero totalmente in sua completa balìa. Ella possedeva la mia coscienza, con tutti i ricordi, le emozioni, gli istinti, le paure, i traumi. Ella possedeva la mia morale! Ormai ero divenuto un insetto, un uomo senza volontà, incapace di vivere, privo di ogni energia. Una cosa ero però riuscito gelosamente a conservare: l’odio nei suoi confronti. Era, questo, un sentimento brutale che custodivo negli oscuri anfratti della mia mente, là, dove lei non sarebbe mai potuta arrivare, e che coltivavo con meticolosità giorno dopo giorno, ora dopo ora, consapevole che esso era, ormai, l’unica cosa che ancora mi dava la forza per vivere.
Ieri sera, mentre ero ancora sveglio a letto, l’abat-jour, quel suo orrido regalo, che ella stessa aveva ritirato dai carabinieri e messo sul mio comodino, ad un certo punto ha cominciato a vibrare. Le lingue di fuoco incise sulla canna d’argento hanno preso vita, emanando luce e calore. Il volto di donna tra di esse, ha via, via assunto le sue sembianze. Gridando:- Dio liberami da questa abominazione! Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo!- ho afferrato l’oggetto e l’ho sbattuto più volte, prima sul comodino stesso, poi sul pavimento, fino a quando non è andato completamente in frantumi. E’ stato allora che la porta della mia stanza si è aperta violentemente lasciando apparire lei, ritta in piedi, con la testa completamente fracassata ed il sangue che grondava copioso sull’intero suo corpo, quasi ricoprendolo tutto. Nei suoi occhi si leggeva incredulità e sgomento. Dopo qualche istante, è caduta giù di colpo, sbattendo sul pavimento. Era morta! Come se la sua vita fosse legata a quel terribile feticcio del quale ero finalmente riuscito a liberarmi. Mentre ti sto scrivendo, il suo cadavere è ancora nella mia stanza. Io non avrò la forza ed il coraggio necessario, per affrontare un processo che mi vede già colpevole, già condannato. Cosa dire? Come spiegare? Non avrò la forza d’animo di continuare ad essere privo della mia libertà, allora infilerò la testa nel forno, aprirò la chiavetta, e finalmente la farò finita! Qualcuno, prima o poi ti farà avere questa mia lettera. Ti chiedo di perdonarmi, così come l’ho chiesto, in un’altra lettera che c’è qui, pronta sul tavolo, a mio fratello Riccardo, unico superstite della famiglia. Addio, amico mio!”
Dal “Giornale di Brescia” del 24 aprile 2002
“In un appartamento di via Tazzoli, nel centro di Brescia, un uomo, dopo aver ucciso la sua convivente, fracassandogli la testa, si è suicidato asfissiandosi con il gas. Si tratta di Alberto Natoli, già vittima due anni fa di un grave incidente automobilistico nel quale perse la vita la sua giovane moglie. L’oggetto del delitto è un caratteristico abat-jour ora completamente distrutto, se si eccettua la base sulla quale c’è incisa una frase in latino:”Hunc semper meo tu es” (Ora sei per sempre mio).”
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