Scritto da © Antonio Cristof... - Dom, 19/05/2013 - 05:07
Stralcio dal mio romanzo “AB, da dove?”
Da ragazzino era vissuto a Napoli dove era nato nel 1950 e dove era rimasto fino all’età di dodici anni quando se ne andò su al nord al seguito di un fratello maggiore. L’odore del caffè, dalla cucina si espandeva in tutte le stanze, l’anima stessa di quella bevanda visitava l’intera casa, pura, amara e profumata come un giardino in fiore. Quell’essenza variava secondo lo scorrere della giornata: dall’aroma del caffè nelle prime ore alla fragranza del ragù a pranzo, fino all’odore della pizza a sera. Ma tali odori si spensero ben presto nella casa di Antonio, per essere sostituiti da quelli dei fiori e dei ceri per la morte della mamma che volò in cielo quando egli aveva solo sei anni stroncata da un male terribile. In quel tempo il bambino aveva già un’idea realistica della morte, ed uno dei problemi maggiori fu dato dal fatto che non era in grado di capire e identificare le sue emozioni. Così il ragazzo venne su con un carattere particolarmente difficile. Era come barchetta in balia di flutti di passioni: gli piacevano tutte le ragazzine, bionde o brune che fossero. In ognuna di esse, in uno strano complesso edipico, rivedeva l’immagine materna. Il primo rapporto con l’altro sesso lo ebbe a soli undici anni e fu decisamente risoluto nel non tener conto della rigida educazione, anche un po’ bigotta che aveva ricevuta dalla nonna materna prima e dal padre dopo. Era un pomeriggio di fine estate, L’aria, ancora calda, era mitigata da un frizzante venticello di tramontana che la rendeva oltremodo gradevole. Il sole inondava di luce il palazzo dove abitava. Era un antico edificio in stile “Barocco napoletano”, situato nella zona della “Santarella” proprio di fronte via Filippo Palazzi ai margini della collina del Vomero. Alcune sue balconate affacciavano all’esterno e da esse, tra una costruzione ed un’altra, si poteva ammirare uno spicchio di mare. Ma la finestra di uno studietto, nel quale Antonio si rintanava spesso, affacciava su un cortile all’interno. Proprio di fronte c’era il finestrino della cameretta di una vicina di casa. Maria aveva dieci anni, i capelli biondi lunghi e lisci, un corpicino linfatico ed esile. Antonio già diverse volte ne aveva spiato le mosse, ma, dal momento che il finestrino della ragazzina era collocato un po’ troppo in alto, riusciva a scorgerne solo il mezzo busto e…cercava di immaginarne il resto. La ragazzina si era accorta che lui ne osservava i movimenti, cosi si muoveva con erotica allusione mascherata da apparente ingenuità: prima scioglieva i capelli legati da nastrini azzurri, poi li pettinava delicatamente sbirciando fuori per notare se il ragazzo la stesse guardando, poi ancora sbottonava lentamente la camicina e la lasciava cadere dietro le spalle. Quando si abbassava per togliere vie veste e mutandine non era più visibile al ragazzo dal momento che il suo finestrino era collocato leggermente in alto. Riappariva con un sorriso malizioso, poi chiudeva la vetrata e spiava anch’ella da dietro le tendine.
Quel pomeriggio la ragazzina si mise a specchiarsi, ma per un adolescente ossessionata dal corpo la sua non era semplici vanità. Ella passava ore ed ore a scrutare impietosamente la propria immagine allo specchio, con un’attenzione meticolosa ai minimi dettagli nel vestire, al taglio di capelli dettati dalle mode del momento: non si trattava di frivolezze, ma di tentativi, più o meno riusciti, di controllare un corpo che, con le tempeste ormonali della pubertà, era in continua trasformazione e in cui ella stessa stentava a riconoscersi. Improvvisamente si spogliò. Antonio, sempre vigile, si sollevò sulle punte dei piedi per poterla ammirare per intero. La ragazza fece goffamente lo stesso per farsi guardare, allora lui prese una sedia e vi salì sopra e di li, anche se non proprio completamente poté osservare con meraviglia quella figura deliziosa e delicata, simile ad un pastello del Longoni[1], ma non bastava: sfidando il pericolo, uscì dalla finestra, montò sul cornicione che girava tutto intorno il cortile e si infilò nel finestrino della bambina. Dentro che fu: - Ciao – disse con voce tremolante. Rimase lì a guardarla come uno che possiede una macchina con un motore potente ma non è in grado di guidarla, perché non ha neppure la patente. Poi, senza parole, con le mani sudate, si adagiarono sul lettino e si persero nei loro cuori bambini impastati di emozione, curiosità e turbamento.
- Ciao …– disse alla fine Maria, con la voce che gli danzava in gola come un cero acceso.
- Ciao…- rispose Antonio. Si erano lasciati andare rispondendo ognuno al proprio istinto. Ora che erano appagati non avevano parole per descrivere la propria emozione, così si lasciarono silenziosamente con un mezzo sorriso imbarazzato. Il ragazzo rimontò sul cornicione e fece a ritroso la via che aveva fatta all’andata.
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- Blog di Antonio Cristoforo Rendola
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