1 Agosto 1981
“Caro diario,
è finalmente cominciata la mia agognata vacanza! Ho lasciato in città traffico, smog e problemi quotidiani, e con moglie e bambino, a bordo della mia “Ford Escort”, mi sono tuffato bel bello nel verde di Agerola.
8 Agosto
Questa mattina siamo andati al mare giù ad Atrani. Il paesino è situato subito dopo la “Torre Saracena” di Amalfi. Sulla statale si attraversa un tunnel di un centinaio di metri e subito dopo si gira a destra giù per una stradina tanto stretta che a malapena vi passano due auto provenienti da sensi opposti. Si giunge in una piazzetta a pochi metri dalla spiaggia e vi si può parcheggiare. Per l’esiguo spazio, però, il parcheggio è limitato ed intorno alle nove del mattino un vigile, posto all’ingresso della stradetta, abbassa una sbarra appena in piazzetta non vi è più posto. Ne consegue che bisogna alzarsi presto e scendere da Agerola non più tardi delle otto. Questa mattina, dunque, alle sette e mezza, armati di ombrellone, “sdraio” e salvagente, siamo usciti di casa. I muri fra le scale evidentemente sono stati rimbiancati da poco perché in alcuni punti appare chiaro che sono ancora umidi di pittura, della quale si avverte l’insinuante odore. Subito dopo aver rinchiuso la porta alle mie spalle, ho notato qualcosa che non avevo veduto quando siamo arrivati: all’inizio della rampa di scale che porta al piano superiore, sul muro a destra, c’è una scritta, in parte cancellata, fatta con il carbone; qualcosa di incomprensibile: “ I…TO”. Non ho dato molto peso al fatto, ho solo provato un po’ di rammarico per il muro appena ridipinto e già insozzato. Mi sono chiesto chi possa essere stato, visto e considerato che gli abitanti del casolare siamo tutti qui. Mi è anche balenato in mente che don Vincenzo, vedendo la scritta, potrebbe pensare che essa sia opera del bambino. Del resto è, però, evidente che lo stesso non potrebbe essere stato, dal momento che essa è situata troppo in alto rispetto alla sua statura. Certamente si tratta di una bravata fatta da qualcuno dei ragazzi dei vicini casolari, magari proprio da uno di quei diavoletti che ora vedo di fronte rincorrersi a girotondo. Fatto sta che il bel sole di Atrani e l’acqua limpida di un mare dai fondali stupendi e quasi equatoriali, mi hanno completamente fatto dimenticare l’inconveniente, del quale potrò sempre chiedere spiegazioni allo stesso don Vincenzo o alla moglie o, perché no, alla figlia Gilda.
9 Agosto
“Questa mattina, nell’uscire di casa, ho notato che la scritta sul muro che porta al piano superiore sembra essere stata completata con le vocali “A” ed “U”, per cui ora si legge: “AIUTO”. Non c’è ombra di dubbio che qualcuno dei ragazzetti del vicinato si diverte a nostre spese, avendo anche facile accesso al casolare, dal momento che, sia il cancelletto del pergolato che il portoncino del casolare stesso, restano sempre aperti notte e giorno. Dopo aver mangiato, siamo andati a fare una gita a Sorrento che in questo mese è splendida, piena di vita e di musica. I balconi sono adorni di fiori di mille colori e la gente per le strade è allegra e vivace. Peccato che oggi è piovuto “a catinelle”, la musica non si udiva, i balconi erano chiusi ed i petali dei fiori venivano giù con la pioggia insistente. Poco male! Siamo in vacanza e possiamo anche permetterci di sorridere e fare “shopping” sotto l’ombrello, mentre i fulmini frustano l’aria e i tuoni rotolano tra le nubi”
10 Agosto
15 Agosto
“Un altro avvenimento particolare, a tutti passato inosservato, meno che al sottoscritto, è avvenuto nelle prime ore del pomeriggio di oggi, ferragosto, festa dell’ ”Assunta”, celebrata con grande sontuosità qui ad Agerola. Mia moglie e il bambino stavano riposando, ed io ero uscito di casa per andare a passeggiare tra i campi. Proprio nel momento in cui sono giunto nell’androne del palazzotto, ho visto sgocciolare tra le rampe di scale un liquido di colore giallastro. Mi sono avvicinato, e, anche dall’odore, ho capito che si trattava di urina. Ho subito pensato al bambino, così ho rifatto di corsa le scale a due a due, ma giunto alla porta di casa, ho costatato, senza neanche entrare, che tutto era silenzio, ed all’interno mia moglie e mio figlio risposavano tranquillamente. Non vi era dubbio: l’urina puzzolente proveniva dal piano di sopra. Non senza apprensione, sono salito sull’ultima rampa di scale ed ho notato che l’urina che sgocciolava copiosamente dabbasso proveniva dall’appartamento sopra al mio. Mi sono avvicinato alla porta chiusa, ai piedi della quale si era formato un ben vasto fetido laghetto ed ho sentito come un bisbiglio provenire dall’interno. Con un sentimento di curiosità mista a paura ho avvicinato l’orecchio alla porta ed ho chiaramente sentito qualcuno che bestemmiava ripetutamente sottovoce.
Questi avvenimenti stanno indubbiamente turbando la mia vacanza in questo luogo incantato, dove sembra che il tempo trascorra in modo più lento, dove la vegetazione è rigogliosa e i fiori “schioppano” in colori stupendi e variopinti. Perfino l’acqua, proveniente dalle fonti del Penise, sembra avere un sapore diverso (se mai l’acqua ha un sapore): è più leggera e naturalmente più fresca e cristallina di quella che siamo abituati a bere in città. Ma c’è qualcosa che ormai attanaglia la mia mente e ne invade i meandri più reconditi: chi c’è su al secondo piano? Qual’è il mistero della scritta apparsa e scomparsa tra le scale? E l’urina? Chi l’ha fatta? E perché in terra? A tutto questo, io realistico commercialista, devo dare una spiegazione razionale, e per poterlo fare ho bisogno di fatti su cui ragionare, ma, per ora, le argomentazioni languono perché gli elementi raccolti sono pochi e vaghi.
Mi sono sporto dalla mia finestra per guardare in alto, ma non appena l’ho fatto l’ombra si è subito ritratta, la luce del piano di sopra si è spenta e le ante si sono rinchiuse. Domani romperò ogni indugio e chiederò a don Vincenzo informazioni sull’ospite misterioso, della sua ritrosia a farsi vedere, dell’urina sparsa sul pianerottolo e della scritta apparsa e scomparsa tra le scale. Intanto me ne vado a letto con il fiato sospeso in gola per l’indecifrabilità degli avvenimenti dei quali sono testimone. Una strana paura pervade la mia mente e una forte inquietudine accelera i battiti del mio cuore. Comunque, sono sicuro che la notte porterà consiglio e ciò che ora mi sembra strano, sicuramente domani mi apparirà in una luce diversa.”
mi sono alzato di nuovo perché non riesco a dormire, o meglio, mi sono appisolato solo per qualche minuto, poi sono stato svegliato di schianto dallo sbattere delle imposte della finestra che mi sta daccanto e che avevo dimenticato di chiudere.Il vento e le ombre della notte creano fantasmagorici effetti di suoni e di luci. C’è un lungo sibilo provenire dalla grondaia qui di lato al casolare, come se Eolo si divertisse a suonare l’ocarina. E’ un suono triste, quasi una nenia lamentosa. Le fronde degli alberi sembrano ogni tanto infastidirsi a questo stridio e lo coprono rivoltandosi con grande frastuono. Il vento levatosi, ora è gelido (quassù fa freddo anche in Agosto). Guardo fuori di nuovo: è buio pesto, riesco a malapena a vedere le ombre dei panni stesi su di un filo che, da un capo all’altro, attraversa il piccolo cortile adiacente il pergolato: sembrano anime in pena che si rincorrono sollevando le braccia come per imprecare. Si rivoltano su se stessi attorcigliandosi e sgomitolandosi subito dopo in un macabro girotondo. Sulla lastra di fronte, illuminato dalla fioca luce di una lampada notturna, vedo ora, in un riflesso distorto, me stesso: la mano destra va avanti a scrivere da sola e la sinistra tiene la mia testa, acciuffando ogni tanto ciocche di capelli e grattandovi dentro con l’indice e il medio, così, automaticamente, senza soddisfare alcun prurito. Mi vedo sbadigliare più volte. Ora, finalmente, ho sonno e la penna mi cade dalle mani.”
17 Agosto
“Ieri ho dormito per quasi l’intera giornata. Il mio, però, non è stato un sonno tranquillo: ho sognato più volte di una trincea militare che veniva invasa da un onda enorme di urina. Quando, nel marasma puzzolente, emergeva un volto senza faccia, allora ero preso da uno schianto improvviso che mi faceva rigirare a letto senza, però, svegliarmi. Mi sono ridestato nel tardo pomeriggio, madido di sudore, ma affamato come un cane. Ada aveva preparato degli involtini di fegato in foglie di lauro. Non che fosse il mio piatto preferito, ma devo averne mangiati più di tre o quattro con un certo appetito. Ho bevuto anche qualche bicchiere di buon vino, poi, per la verità, mi sono rimesso a letto a guardare in televisione un vecchio telefilm della serie “Perry Mason”. Ho invidiato, allora, qual personaggio per la sua logica, per l’infallibilità del suo metodo di indagine, per il suo intuito. A proposito, oggi, caro diario, ho provato a chiedere spiegazioni a don Vincenzo.
-Nessuno, la casa è vuota…- mi ha risposto
-Qualcuno, dice? Crisi nervosa? Si sarà sbagliato…Ah, di rado ci va Gilda, mia figlia…sa, ci va a togliere un po’ di polvere, sa…col tempo la polvere poi la fa da padrona…E’ tutto coperto di polvere lì…tanta polvere…Quella era la stanza del mio povero figlio…Crisi nervosa, dice?-
-Si, non c’è più…è morto…Avanti e indietro ha detto?-
-Oggi avrebbe quarant’anni, sa…era un bel giovanotto…pieno di speranze…La luce accesa, ha detto? Fu colpito da una nefrosi fulminante vent’anni fa e in men che non si dica…Sa, allora non c’erano le cure che ci sono oggi…allora niente di niente…-
-Altrochè, non me ne parli! Fu proprio lui a farla-
-Mio figlio. Quando seppe della sua malattia, in preda alla disperazione, scrisse “Aiuto” sul muro. Non me ne parli…dopo che lui…si, dopo che lui non ci fu più, la cancellai…Cosa ne sa lei di quella scritta fatta vent’anni fa?-
Questa sera siamo andati a San Lazzaro, altra frazione di Agerola, a vedere i fuochi d’artificio come al solito ammalianti in tutto il loro fragore e lo sfavillare dei colori. Si è celebrata, con un programma civile di canzoni napoletane, la festa di San Gregorio Magno. Tutto è avvenuto in piazza Avitabile dove sorge la chiesa settecentesca della “SS. Annunziata”. Vi sono entrato con il bambino e mia moglie che portava sul capo un fazzoletto di seta rosa e azzurro. Ada sembrava quasi una pacchianella del posto, dai lineamenti, però, meno marcati, più dolci, dalle movenze più delicate. L’ho guardata mentre pregava: muoveva le labbra velocemente tenendo le mani congiunte poggiate sulle gambe e lo sguardo fisso all’altare. Nulla la distraeva! Certo, non come me che guardavo la gente entrare, uscire, deambulare presso gli altarini laterali. Mentre l’ “Ave Maria” del “Santo Rosario” risuonava in coro sommesso, un uomo anziano grande e grosso che a malapena si reggeva con un bastone di canna, rispondendo alle preghiere, aveva acceso due ceri e li aveva “appizzati” con delle apposite pinze ai piedi di una statua colorata di S.Antonio. Col tremolio della fiamma gli occhi della statua brillavano, ed il volto ceruleo rifletteva l’incessante danza del fuoco delle candele dabbasso.
Quando è entrato il prete per dir messa, ci siamo tutti alzati in piedi. Io, invero, non so mai quando alzarmi e quando sedermi durante le celebrazioni, quindi, con la coda dell’occhio sinistro osservavo i movimenti di Ada, espertissima in tale ufficio. Il prete era basso e rotondetto, con la faccia seria proprio da prete e due palle rosse sulle gote, tanto accese da sembrare che qualcuno, poco prima, l’avesse preso a schiaffi. Ho avuto la sensazione che egli, tra tante persone, guardasse proprio me. Il suo sguardo era interlocutorio, come se volesse chiedermi qualcosa ma non osasse farlo. Non mi aveva mai visto neanche di passaggio, anche perché in quella frazione di Agerola ci andavamo raramente, e in quella chiesa, poi, non c’eravamo mai stati.
20 Agosto
“ Sono terrorizzato! Dopo tre giorni di assoluta calma durante i quali non è accaduto assolutamente nulla, questa mattina (nel momento in cui scrivo sono le sette), pochi minuti fa, ero a letto che dormivo tranquillamente. Davo le spalle a mia moglie e, inavvertitamente, col gomito destro ho urtato un corpo contundente, tanto da farmi male. A tentoni, nella penombra, senza voltarmi, ho cercato con la mano per capire che cosa avessi colpito, e mi è capitato di tastare una liscia superficie di legno. Mi sono girato ed ho visto che si trattava del manico di un fucile imbracciato da un soldato che, armato di tutto punto, con elmetto, cartucciera e baionetta alla cintura, sedeva sul letto al posto di mia moglie. Sono balzato giù come un gatto, andando a rotolare in un angolo della stanza! Ho tentato di gridare, ma non mi usciva la voce, di fuggire, ma ero paralizzato. Poi, strisciando a fatica, sono passato accanto al lettino del bambino che dormiva tranquillamente: il suo respiro era regolare, pacato, in contrapposizione al mio. Ho anche sentito la voce di Ada provenire dal nostro letto e chiedere con un tono impastato di sonno: -Chi è, cosa c’è?-. A malapena sono riuscito a trascinarmi fuori, ed ora sono qui, in quest’altra stanza, a scrivere dell’accaduto. Lui è ancora di là, ne sento la presenza, ne avverto l’odore fetido di urina…”
- Cosa c’è? Cosa è successo?- mi ha chiesto Ada:- Sei pallido,
Le ho impedito di leggere le cose incredibili che mi stanno capitando per non preoccuparla, per non essere preso per pazzo, ma ho la sensazione, da uno sguardo che Ada ha lanciato al quadernetto, che magari vorrà farlo poi in mia assenza. Ho deciso così di nascondere il diario in una borsa nell’armadio. Non voglio che legga, non voglio!
23 Agosto
Durante il breve viaggio di ritorno, mentre guidavo, lei mi ha guardato più volte con una certa perplessità, ed io ogni volta ne ho incrociato lo sguardo, ne ho letto gli angosciosi pensieri. I nostri occhi si specchiavano gli uni negli altri per qualche attimo; poi tornavo a guardare la strada che veniva verso di me con le altre auto, con le “corriere”, dall’alto delle quali, i viaggiatori, con gli occhi socchiusi per il sole al tramonto, sembravano scrutare orizzonti inesistenti. Tutto scorreva velocemente: negozi, case, gente, donnette che parlottavano tra di loro e ridevano, ragazzi che si baciavano, coppie di anziani che sgambettavano tenendosi sottobraccio. Un cane mi ha attraversato la strada ed ho rallentato per lasciarlo passare, poi ha inseguito abbaiando la mia vettura.
Affido a te, caro diario, alla tua assoluta discrezione, queste mie meditazioni, curando di nasconderti bene in quella borsa affinché esse non siano oggetto delle attenzioni di mia moglie e motivo di angoscia. Forse, trascorsa questa vacanza, lasciato questo posto, finirà tutto, ed io ritroverò la mia posatezza nella monotonia e nello squallore dialettico dei libri contabili. “
- C’è un luogo – mi ha detto – oltre il bivio, fra Pianillo e Santa Maria, che ad Agerola chiamano “curva degli spiriti”. Tu, sarai certamente andato a San Lazzaro, vero? Allora l’hai vista questa curva. Si tratta di una svolta a gomito subito dopo un grande casolare arancione. E’ un posto bellissimo dal quale si può vedere inerpicarsi su a monte il sentiero “Delle Fonti”. E’ pieno di fiori, ed in particolare di enormi girasoli. Si narra che proprio lì fosse accaduto un incidente causato dal poeta Gabriele D’Annunzio insieme a un suo compagno di bagordi. –
- Egli non era quel che si dice uno stinco di santo. Gli piaceva vivere bene, fra gli agi e, potendo permetterselo, non badava a spese. Lui doveva cogliere l’attimo fuggente e divertirsi magari anche a discapito degli altri. Bene, una notte, con quel tale suo compagno, organizzò uno scherzo ad un carrettiere credulone che aveva conosciuto per caso in una taverna di Tovere, tra “serte d’aglio” e “caciocavalli” appesi. Il carrettiere stava portando delle botti vuote qui ad Agerola per farne restringere la cinghiatura di ferro che, allentandosi, aveva fatto allargare le traversine. Essendo partito in ritardo da una vigna di Picole, giù in costiera, era giunto qui a notte fatta. Avrebbe pernottato a Campora a casa di un parente ed il giorno dopo si sarebbe recato dal bottaio. Ebbene, D’Annunzio ed il suo compare, avendo saputo che il villico sarebbe di li a poco giunto ad Agerola, si ricoprirono con due lenzuoli e si appostarono dietro un muretto proprio nel gomito della curva. Quando il malcapitato passò, balzarono insieme fuori gridando come forsennati ed agitando le braccia in alto. L’uomo, forse anche un po’ alticcio perché pare fosse un ubriacone, lasciò di colpo le briglie, il cavallo s’imbizzarrì e trascinò la carretta fuori strada facendola precipitare con tutto il suo carico in una scarpata sottostante. Il poveretto finì schiacciato dalle sue stesse botti, e a nulla valsero i soccorsi portati dallo stesso D’Annunzio, dal suo compare e da altra gente accorsa alle grida. Ebbene, da quella notte, ogni tanto, qualcuno giura di aver visto lo spettro del carrettiere risalire la scarpata oltre la curva.-
Tutto è cominciato quando ho incontrato Gilda per le scale che scendeva dal piano di sopra il e mi ha detto: - Ho messo un po’ d’ordine nell’appartamento su. Sa, dottore, la vorrei avvertire che in nottata arriveranno alcuni nostri parenti da Vicenza. Siccome li alloggeremo nella casa di sopra, l’avverto che ci potrà essere un po’ di trambusto per la loro sistemazione. - . Ho sorriso e le ho risposto: - Fa niente! Siamo in vacanza, no? E poi mi fa piacere che...si, insomma, che... quel piano sia abitato... Più siamo in compagnia e meglio è...Siamo in vacanza...-.
Mi son detto: - Saranno i parenti dei padroni giunti in nottata da Vicenza. Gilda me ne ha parlato, ma questo sembra...un vero e proprio trasloco.-
Il giorno dopo, così come mi ero proposto, ho subito reclamato con Gilda:- Ma che cosa trascinavano di sopra, i tuoi parenti? Dio mio, pareva uno sfratto? –
- Ed allora chi ha fatto tutto quel trambusto?-
- Certo. Si è sentito chiaramente il rumore di sedie che venivano trascinate, mobili spostati, o cosa...-
La cosa si è ripetuta stanotte. Erano da poco passate le due, quando sono stato svegliato da un fracasso infernale che proveniva dal piano di sopra. Il frastuono era continuo, ma, stranamente, questa volta mia moglie continuava a dormire tranquilla. Sono balzato dal letto e, senza neanche mettere le pantofole, ho percorso a piedi scalzi la rampa di scale che porta al piano superiore. Avevo paura, ma avevo anche voglia di vedere, di sapere. Ho salito quei diciotto scalini col cuore in gola. Quando sono giunto, la porta mi si è aperta davanti, come spinta dal vento. Quel che mi si parava dinanzi era una camera in penombra, un po’ di luce filtrava da una finestra che si apriva sulla parete di destra. La struttura era identica a quella dell’appartamento occupato da noi nel piano sottostante: dalla porta d’ingresso si accede direttamente in camera da pranzo. Proprio di fronte c’è un piccolo corridoio che conduce, prima in un cucinino a destra, poi in bagno, subito dopo, ed infine, dirimpetto, in camera da letto. La stanza era in perfetto ordine; non c’era polvere; si avvertiva un forte odore di “chiuso” che mi penetrava fino in gola provocandomi un senso di soffocamento e di vomito. A sinistra, sopra un tappetino sgualcito, c’era un tavolino sul quale erano poggiate delle fotografie di gruppi di soldati, e delle certificazioni mediche: analisi, ricette. A destra, proprio sotto la finestra, deposto su di un piccolo mobile, giaceva un vecchio giradischi con un disco ancora posto sul piatto. Si trattava di una vecchia canzone cantata da Mina: “Tintarella di luna”. In fondo, sempre sulla destra, c’era una decrepita consolle sulla quale era poggiato un grande specchio rotto, ed a sinistra, prima del corridoio, un armadietto in ferro, chiuso con tanto di lucchetto. Un vecchio lampadario a “fazzoletto”, senza lampadina, pendeva nella stanza. Attorcigliato al lampadario, ed annodato al gancio nel soffitto, c’era un moncone di corda di canapa. Ho affermato che la stanza era in penombra, e che solo un po’ di luce filtrava dalla finestra: ebbene, strano a dirsi, si trattava di un chiarore che aveva un tono di colore bluastro, ogni tanto sbiancato dal saettare di qualche fulmine per un temporale lontano che man mano stava avvicinandosi. Quella luce pallida balenava sempre più frequentemente nella stanza, accendendo le pareti e mostrando per qualche istante, dipinti ad olio di morte nature o desolati paesaggi, appesi qua e là. Avanzando nella stanza, ho calpestato dei cocci di vetro. I piedi, trafitti, lasciavano scie di sangue sul pavimento. Il dolore era forte, ma è stato subito dominato da un’intensa sensazione di paura, quando ho sentito la voce di Mina provenire dal giradischi: - “Tin-tin-tin, raggi di luna, tin-tin-tin, baciano te. Al mondo nessuna è pallida come te...- Il braccio si era mosso da solo e il piatto aveva cominciato a girare. La musica, prima sottotono, poi sempre più assordante, invadeva ora l’intero appartamento:- “Tintarella di luna, tintarella color latte, tutta notte sopra ai tetti, sopra ai tetti come i gatti...”- . Automaticamente mi sono portato accanto al giradischi. Ne stavo osservando atterrito il meccanismo, quando la finestra si è aperta di colpo lasciando penetrare folate di vento gelido che sono andate a sconvolgere le foto e le altre carte che erano riposte sul tavolo. Lo stesso ha cominciato prima ad ondeggiare, poi a girare su se stesso. I quadri appesi alle pareti sono caduti ad uno ad uno. I cassetti della consolle si aprivano e si chiudevano da soli, come se azionati da misteriose molle. Da un portaombrelli di fianco fuoriuscivano: prima branchi di topi che si diffondevano per l’intero appartamento, poi urina, che zampillava a flotte fin sotto il soffitto e mi ricadeva, orrida e puzzolente, addosso, inzuppandomi tutto. Il lampadario oscillava come se si trovasse a bordo di una nave in tempesta. Il moncone di corda si è via, via allungato fino a divenire un capestro sotto il quale, da sola, è andata a portarsi una sedia. Poi ho sentito una cantilena che mi diceva:- Mille ostacoli ci vengono dal corpo…Mille volte ci negano la verità, senza dire dell’amore, senza dire della cupidigia, senza dire dei timori, dei fantasmi d’ogni genere. Tutte inezie senza fine che ci tolgono ogni capacità di pensare…Vuoi sapere? Vuoi conoscere? Ecco il mezzo! Una semplice corda ed una sedia...Sali, infila la testa nel capestro, e saprai...-.
7 Dicembre 1981
La notte tra il 28 e 29 agosto, verso le tre del mattino, sono stata svegliata da un grande trambusto: era un tonfo di pietre e pietrisco che proveniva dal piano superiore. Ho veduto mio marito che rientrava in casa con i piedi intrisi di sangue, il corpo interamente ricoperto di terriccio bianco, la faccia pallida, stravolta, e dal puzzo si capiva che si era urinato addosso. Si era arroccato a fatica sul tavolinetto che avevamo in camera da pranzo e, in preda ad una crisi di terrore, scriveva automaticamente su questo diarietto.
L’ho medicato e l’ho aiutato a mettersi a letto, dove ha trascorso un giorno intero in preda a spasmodica eccitazione e forti dolori al collo segnato dai filamenti della corda. Il 31 agosto ho dovuto effettuare da sola tutti i preparativi per la partenza perché lui era assente con l’anima e con il corpo. Era in uno stato vegetativo vero e proprio. L’unico sussulto l’ha avuto quando ci siamo recati nella casa padronale per accomiatarci da don Vincenzo e famiglia, ai quali ho naturalmente taciuto del suo insano gesto. Lo sguardo di Michele è stato subito attirato dal ritratto di un giovane davanti al quale era accesa una lampada votiva:
-Ma…non mi avete detto…tutto…-
- Ascoltava musica. – interruppe Gilda: - la sua cantante preferita era Mina. Non faceva altro che mettere “Tintarella di luna” che gli piaceva molto.-
Da quanto c’è descritto in questo diario, si ha la sensazione che mio marito fosse entrato misteriosamente in contatto con entità ultraterrene. In realtà, è molto probabile che qualcuno gliene avesse già parlato prima, e che egli, altamente suggestionabile per sua natura, ne sia rimasto influenzato. Fatto sta che ogni volta che vado a trovarlo in clinica non fa altro che cantarmi “Tintarella di luna” e parlarmi con occhi spiritati della casa del piano di sopra, del soldato, della luce riflessa nella vetrata del casolare di fronte e dell’ombra che andava su e giù nervosamente tra il fruscio delle fronde.”
- Blog di Antonio Cristoforo Rendola
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