Di cosa parliamo quando parliamo di Pace? | Filosofia | Antonella Iurilli Duhamel | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

To prevent automated spam submissions leave this field empty.

Commenti

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

Nuovi Autori

  • Francesca Maria...
  • Brezza
  • laprincipessascalza
  • Peppo
  • davide marchese

Di cosa parliamo quando parliamo di Pace?

La lotta dei Pesci e degli uccelli  di AID
E' da secoli che la Pace s'affaccia sulla soglia del mondo, elemosinando grazia e pietà. E' da secoli che i governi disgraziatamente la ignorano perché la pietà verso i propri simili non è un concetto quantificabile o monetizzabile e la merce di scambio è il mondo dei numeri e non quello degli esseri viventi. Il valore della Vita, snaturato e sfiduciato, è ora prigioniero di tutto ciò che rappresenta conquista, vittoria, dominio, distruzione, morte.
 
E' l'umano paradosso per cui, come scriveva nel XVII sec. Blaise Pascal, "non esiste niente di più ridicolo del fatto che un uomo ha diritto di uccidermi perché vive dall'altra parte di un fiume e il suo sovrano è in lite con il mio, sebbene io non lo sia con lui".

L'Uomo, dunque, frantuma il proprio tempo lottando contro le identità e le libertà dell'Altro, piuttosto che ricomporre le proprie, pacificandosi con se stesso. E' il destino di ogni essere umano secondo cui è molto più semplice proiettare le proprie debolezze e viversi in un mondo esterno, contro un nemico e mossi da un'ossessione, piuttosto che trovare un equilibrio interno.

 
Forse un mondo di pace, di tolleranza reciproca e concordia spaventa l'essere umano perché richiede la ricerca continua ed attiva di un compromesso, di un accordo nel disaccordo, di un'unione nella divisione.
 
Forse l'idea di lavorare con un'opportunità diversa su una nuova e conciliante alternativa comporta una sostanziale sottrazione di energia ai meccanismi sociali, dove tutto è inevitabilmente manipolato e dove la parola 'guerra' suscita nazionalismi e patriottismi vari, agendo da collante sociale interno. A quanto pare gli ingranaggi dell'ingegneria sociale richiedono sangue per essere oliati e per mantenersi in uno stato di invisibile attività.

E allora ci si domanda quanto il concetto di guerra appartenga al nostro bagaglio genetico o sia invece un fatto culturale e quindi potenzialmente evitabile. Nel regno animale esiste la lotta per la sopravvivenza e il territorio d'appartenenza ma non esiste la belligeranza perché un codice etico, morale ed interno prevede il rispetto dei segnali di sottomissione, dove il combattimento è vissuto come scarica dell'aggressività ma non porta mai, tranne in rari casi, alla morte.

 
Nel regno umano, invece, la guerra è paradossalmente un trionfo dell'esistenza dove l'uomo si esprime e si manifesta pienamente: o è un vincitore o un vinto. In ogni caso la sua forza o la sua debolezza lo fanno sentire ed esperire come uomo. Dunque, quello che rappresenta un mitico connubio dove la vita è Pace e la guerra Morte è in realtà una clessidra capovolta: ogni granello rappresenta le libertà degli altri e i diritti di tutti, che si depositano sul fondo, pesano gli uni sugli altri e aspettano solo di ribaltarsi nuovamente, in un circolo vizioso, dove colui che era il carnefice si trasforma a sua volta nella vittima e viceversa.
 

In questa lotta per la vita l'uomo, come ogni essere vivente, cerca sempre la soluzione migliore, la più adattiva e vantaggiosa: crea, ad esempio, un mondo di terrore per annientare il terrorismo; instaura regimi di paura per placare l'incertezza e l'insicurezza; inventa ingegnosi sistemi di comunicazione pur non essendo in grado di mettersi in ascolto col cuore; affina le arti della diplomazia per migliorare il presente ignorando il passato e speculando già sul futuro; allunga la vita di alcune specie 'elette' e si permette di accorciarla casualmente e causalmente ad altre…

Purtroppo è questa l'attuale libertà dell'uomo che vive nella convinzione per cui ogni essere vivente ha bisogno di lui ed in modo onnipotente crede che ogni suo intervento possa portare al bene perfetto. E' il libero arbitrio: incapace di fermarsi di fronte alle libertà dell'Altro e, in modo egocentrico, impedito nel considerare come proprie le altrui sofferenze. Forse solo il filo della solidarietà universale potrebbe cucire gli animi umani perché allargando i confini della comunità morale ci potremmo vivere come uomini e nient'altro.


L'augurio per l'umanità è, dunque, di non trovarsi di fronte ad uno scenario come quello descritto da Italo Calvino, secondo cui "la guerra durerà fino alla fine dei secoli e nessuno vincerà o perderà, resteremo fermi gli uni di fronte agli altri per sempre. E senza gli uni, gli altri non sarebbero nulla e ormai, sia noi che loro, abbiamo dimenticato perché combattiamo".
 
Serena Bimbati Amnesty International attivista
opera A.Iurilli Duhamel

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 2 utenti e 4897 visitatori collegati.

Utenti on-line

  • Laura Lapietra
  • Rinaldo Ambrosia