Antonella mi viene incontro sorridente tenendo al guinzaglio il suo volpino bianco in un tutt’uno con lei, nonché punto di riferimento ideale che le impedisce di volarsene via assieme alle immagini che popolano la sua fantasia. Guardandoli non si può fare a meno di pensare alla Signora dal cagnolino, di Cechov.
Altrettanto inscindibile è la relazione con le immagini che lei crea, e che riempiono tutto il suo essere, senza tuttavia, subirne passivamente l’aggressione.
Figure enigmatiche che sollevano domande: Da dove spuntano? Sono apparizioni casuali? E perché, a volte, e sempre indipendentemente dalla sua volontà appaiono rigide, afflosciate, tranquille, pensierose e persino inaspettatamente minacciose? Mentre in altre, sembrano sgretolarsi lasciandosi alle spalle una scia di frammenti multicolori, oppure risgusciano in quel grembo in cui vivevano l’attesa di acquistare la forma a loro più congeniale?
Antonella non è mai inerte, tende a scavare continuamente dentro e fuori di se con la speranza di giungere all’essenza di tutto, anche se a volte, lascia trapelare il timore di non lasciare sufficiente libertà alle sue immagini. Non vuole imbrigliarle, al contrario, desidera lasciar loro libero corso, tendendo quasi a sdoppiarsi affinchè il suo ruolo sia minimo, affinchè tutto avvenga senza una sua “vera e propria” partecipazione.
Tutto il suo lavoro ci pone di fronte all’eterno dubbio: Da dove veniamo? Ciò che facciamo siamo noi a farlo o ci viene perlomeno suggerito senza che ce ne rendiamo conto. Si tratta di caso? O il caso è solo un modo per giustificare le nostre limitate conoscenze? Quali sono i limiti del nostro ruolo? Si tratta di una accettazione passiva? E il merito o il demerito allora di chi è?
Antonella non se lo attribuisce di certo. Priva di certezze dogmatiche, incuriosita dal proprio ed altrui mistero, vaga senza sosta meravigliandosi.
Non si limita a scolpire, disegnare, dipingere o fotografare, la sua ricerca la spinge verso una costante e progressiva conoscenza oltre ogni possibile velatura del reale.
Il suo lavoro è un invito alla conoscenza di sé e nello stesso è un ammonimento a non scavare compulsivamente, ma ad accettare qualche “imbeccata” dall’universo.
Implicitamente suggerisce di lasciarsi andare, di dimenticare se stessi e la propria esistenza, come l’onda che asseconda il suo mare.
Gli artefici di ogni cosa in effetti non siamo noi anche se spesso abbiamo l’illusione di esserlo.
È questo ciò che pensavo giorni fa, quando recatami da Antonella, mi avvicinai in punta di piedi al suo orto e fissai in silenzio, quasi ipnotizzata, come lei si chinasse vicino ad ogni pianta e ad ogni suo animaletto. Sembrava che a bassa voce chiedesse loro, se desideravano qualcosa, o se ritenevano che fosse giunto il momento di collaborare tutti insieme, a qualcosa di creativo, come a volte era già accaduto, senza che ciascuno di loro se ne fosse reso conto.
Duska Avrese
12 novembre 2006
- Blog di Antonella Iurilli Duhamel
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