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Andare al tappeto

-Cominciò tutto circa un anno e mezzo fa. Finalmente avevo raggiunto col mio terzo romanzo la tanto agognata fama. L’opera aveva venduto quasi cento mila copie in due mesi, ma c’erano ulteriori margini di miglioramento. Le mie fotografie erano apparse sulle copertine e nelle pagine di molte riviste specializzate e non. Lo scrittore Erminio Tagliaferro
aveva smesso di essere un signor nessuno come ce ne sono tanti sulla faccia della terra.
Fu in uno di quei giorni che il mio editore mi convocò nel suo ufficio. Lo trovai veramente molto eccitato al mio arrivo. Davvero non stava più nella pelle.
Mi diede la notizia che la redazione di “Voci d’oggi”, un famoso talk sciò che veniva trasmesso in prima serata su una rete nazionale, mi aveva invitato a partecipare alla prossima puntata.
“Pensaci un po’” commentò Pippo eccitato alla follia, “ Prima i giornali e adesso anche la televisione si interessa di te. Se ti giochi bene le tue carte ti potranno conoscere milioni di persone e magari il giorno dopo correranno in libreria a comprare i tuoi libri. Faremo soldi a palate, bello mio”
Oltre a questo mi fece vedere anche un foglio dove aveva scritto di suo pugno l’ordine di ristampa dei miei primi due romanzi e poi mi parlò di pubblicare due raccolte inedite di miei racconti e di mie poesie. Era perfettamente chiaro che lui già si vedeva intento a contare ad uno ad uno gli euro che avremmo tirato su con tutte questa pubblicità.
Accettai l’invito più che altro per fare un piacere a lui, in fondo aveva sempre creduto nelle mie capacità e ci aveva anche investito dei soldi. Fosse stato solo per me avrei declinato la cosa perché se c’è qualcosa che mi annoia davvero sono proprio quei tipi di programmi.
Fu così, quindi, che un paio di sere dopo mi trovai in diretta televisiva seduto su una poltrona assieme alla conduttrice ed altri ospiti. Tra questi c’era anche Pierluigi Manetta, professore universitario, critico d’arte, politico d’occasione, ma soprattutto opinionista televisivo. Il tema della serata riguardava la nuova e tanto contestata riforma del sistema di pubblica istruzione da parte del Governo.
La discussione andò avanti per una buona mezz’oretta con toni abbastanza tranquilli. Io un po’ per l’emozione del debutto, un po’ perché non sapevo proprio cosa fare, restai zitto ad ascoltare gli altri parlare fino che a che non mi fu data la possibilità di intervenire.
In maniera molto pacata e mantenendo lo sguardo diretto alla telecamera con la luce accesa, spiegai che prima di tutto non poteva essere possibile che ogni nuovo ministro della pubblica istruzione doveva riformare il sistema scolastico, perché così nessuno ci capiva più niente e poi proprio quest’ultima era un mero modo di fare cassa per risolvere i problemi finanziari dei soliti nomi a spese della popolazione. Chiusi dicendo che normalmente uno come ministro della pubblica istruzione si aspetterebbe un rettore, un preside, un insegnante, magari pure un bidello, uno cioè che ha competenze del campo e non un imprenditore che tratta la scuola alla stregua dell’azienda di famiglia.
Ebbi giusto il tempo di esprimere quest’ultimo concetto che fui letteralmente aggredito verbalmente dal Manitta. Me ne disse di tutti i colori manco gli avessi bestemmiato i morti in diretta. Iniziò a darmi del classista, del calunniatore e finì col dirmi che ero semplicemente geloso perché a me nei libri di letteratura non m’avrebbero mai neanche nominato. Mi chiamò mistificatore e spacciatore di falsa cultura. Io cercai di calmarlo, di mostrargli che non c’era da scaldarsi tanto, ma lui si infervorava ad ogni mio tentativo di rappacificazione e tutto ciò servi soltanto ad aizzarlo maggiormente contro di me. Immaginai che da un momento all’altro mi denunciasse all’autorità come autore di qualche attentato o di qualche crimine di guerra.
Fece una pausa per riprender fiato ed io colsi al volo l’occasione.
“Punto primo, la smetta di urlare e moderi i termini per piacere” gli dissi in tono fermo.
“PERCHE’ ALTRIMENTI CHE MI FAI?” fu la sua risposta e non solo. Mi venne incontro minaccioso sfilandosi gli occhiali dal volto. Questo fu un suo grande errore, o a sbagliare fui io, non riesco ancora rendermene conto. Ma dati i miei trascorsi di ragazzo di strada interpretai il gesto di togliersi gli occhiali come se si preparasse a fare a botte.
Non aggiunsi altro. Aspettai semplicemente che si avvicinasse un altro po’ a me e poi scattai all’in piedi e gli ammollai un pugno centrandolo giusto alla mandibola. Quell’unico colpo bastò per stenderlo a terra in semi incoscienza.
Subito corsero gli addetti alla sicurezza e i tecnici. Mi presero per le braccia nella paura che io volessi ancora infierire sull’opinionista e lasciarono la presa solo dopo che io ebbi ripetuto più di una volta di non preoccuparsi, che sarei stato fermo, buono buono al mio posto. Entrò un dottore in scena e rianimò Manitta che fu messo a sedere e sottoposto ad una breve visita per accertarsi che non avesse qualche ricaduta in futuro. Nel frattempo la trasmissione fu sospesa.
“Giovanotto adesso è meglio che te ne torni casa e ti fai una bella dormita” mi bisbigliò all’orecchio un tecnico. A quel punto veramente si stava esagerando. Era stato lui ad incominciare. Mi voltai di scattò per mandarlo a quel paese, ma mi capitò di incontrare lo sguardo della conduttrice. Più che turbata mi parve profondamente amareggiata. Era facile che quello spiacevole episodio sarebbe stato una macchia nel suo curriculum. Mi resi conto che anche lei voleva che me ne andassi. Sconfitto e avvilito mi alzai dal mio posto e mi avvicinai a lei. Le presi le mani e le sussurrai guardandole negli occhi: “Signorina sono sinceramente dispiaciuto di quanto è successo”
“Si, si” mi liquidò lei.
Me ne tornai a casa e senza svestirmi mi stesi sul divano guardando la televisione. Girando i canali evitavo di passare su quello che trasmetteva “Voci d’oggi” per non correre il rischio di trovarmi di nuovo davanti alla vista la scena che menavo Manitta.
Restai sveglio tutta la notte, sicuro che da un momento all’altro sarebbero comparsi i Carabinieri per arrestarmi. Non m’ero tolto i vestiti di dosso apposta per non farmi trovare col pigiama. Metti che poi non m’avrebbero neanche dato la possibilità di rivestirmi…
Vero è che non successe niente di quello che avevo previsto. Anzi accaddero cose che io, con tutta la mia fantasia, non sarei mai riuscito ad immaginare.
Infatti venni convocato per il pomeriggio seguente di nuovo nell’ufficio di Pippo. Ecco adesso mi farà una di quelle lavate di capo che neanche mio padre me le ha mai fatte, pensai prima di entrare. Invece lo trovai ancora più euforico dell’ultima volta.
“Come stai picchiatore?” mi domandò mettendosi per scherzo in guardia come un pugile.
Risposi con un cenno della testa. Non avevo idea di cosa aspettarmi.
“Certo che l’hai proprio steso a quello stronzo” continuò lui,
“Pippo ti giuro che non volevo farlo, è stato lui che m’ha provocato, mi dispiace…”
“No! No! No! Non ti devi scusare, l’hanno visto tutti come sono andate le cose. Se l’è proprio cercato quel cazzotto, quel povero scemo” mi rassicurò lui
“Si, ma i nostri progetti? Penso che abbia rovinato tutto con quello che ho fatto ieri”
Pippo batté le mani come un bambino e scoppiò in una risata grassa che durò per un bel po’. Io lo guardavo sbellicarsi senza ancora riuscire a capire un’acca.
“Ohi, tu sarai pure un bravo scrittore, ma di showbiz non ne capisci proprio niente” affermò,
“Insegnami tu allora” venni a patti io.
“Tu non ti rendi conto di quello che hai creato ieri” cominciò a spiegarmi.
“Hai letto i giornali stamattina? Hai visto il telegiornale?” mi chiese,
“No”
“Ecco allora è normale che tu ancora non sai niente”
Io lo fissavo incredulo.
“Eh si caro mio. Oggi tu sei l’uomo del giorno. Ieri quel cazzotto e tutta la baraonda che ne è scaturita hanno fatto schizzare in alto gli ascolti del programma. Punte così alte non se ne erano mia viste. Controlla tu stesso” e mi buttò davanti agli occhi un foglio con su scritte tutta una serie di cifre e percentuali. I miei occhi si rifiutarono di leggere.
“Ieri sera hai menato un personaggio che ha sempre avuto la presunzione di voler mettere bocca in tutto, che è diventato famoso soprattutto per i suoi modi di fare, per i casini che crea durante i dibattiti e le discussioni. Nessuno mai era riuscito a tenergli testa e ad osare tanto prima di te. Ti è chiaro adesso? Lui era il re della foresta e tu l’hai spodestato. Gli hai rubato scettro e corona. Adesso sei tu l’uomo da battere”
Ad afferrare avevo afferrato, ma adesso non sapevo più cosa Pippo volesse che io facessi.
“Erminio” mi richiamò all’attenzione, la sua espressione era diventata seria tutta di un botto “E’ da stamattina alle cinque che il mio telefono non fa altro che squillare. E sai chi cercano? Cercano te mio caro. Io sono il tuo migliore amico, ma sono anche il tuo editore. Credimi, il tuo talento di scrittore è fuori discussione ma questo da solo non basta per fare successo, adesso tutto è rapportato allo schermo. E ciò vale anche per vendere libri. La maggior parte della gente difficilmente entra in libreria spontaneamente. Serve un gesto eclatante per indurla a varcare quella maledetta soglia e a farle spendere soldi per comprare le tue parole. C’è chi mostra il culo e chi fa pompini in diretta per avere fama. Tu hai rotto la mascella ad un personaggio importante. Sono sicuro che non era tua intenzione, ma non volendo hai creato un nuovo genere di fare televisione. Lì fuori cercano tutti te, ti acclamano. Sei riuscito a fare cose che altri manco si sognavano di fare. C’è gente venderebbe l’anima al diavolo per stare al posto tuo.”
“E cosa dovrei fare allora?”
“Facile, Erminio, devi stare al loro gioco. Non so già da quante trasmissioni hanno chiamato per averti come loro ospite. Io le ho messe tutte in aspettativa dicendo loro di richiamarmi tra qualche ora. Prima volevo palare con te perché ero sicuro che tu non avevi neanche idea dell’opportunità che ci si è parata davanti. Ti assicuro che il Manitta voleva denunciarti, ma quelli del programma stesso l’hanno obbligato a non procedere, a starsene al posto suo. Tutti si sono accorti del tuo potenziale, tranne che te. Ecco perché ho voluto prima dirti come stanno le cose, perché tu sei un puro di cuore e corri il rischio di cadere in trappola. Lo sai, io ti voglio bene, t’ho visto crescere. E non ti metterei mai nei guai. Però adesso dobbiamo sfruttare questa situazione a nostro vantaggio. Non sputare in faccia alla fortuna, perché ci si presenterà solo una volta nella vita. Firma i contratti con le trasmissioni Erminio, vai da loro, parla di quel che vogliono loro, senza scandalizzarti se sono argomenti troppo frivoli o troppo stupidi, non sentirti in colpa per questo. E un’altra cosa, vacci piano a parlar male dei politici. Te lo consiglio di cuore. Quei vecchi bastardi appartengono tutti alla stessa casta, si sputano in faccia, se ne dicono appresso di tutti i colori, ma condividono sempre gli stessi interessi. Lo so che per te è difficile, ma cerca di moderarti. Molti di loro andrebbero messi al muro senza pensarci su due volte, ma fino a quando hanno loro tutto il potere nelle mani ci rimane ben poco da fare. Allora? Cosa ne dici?”
Restò a scrutarmi tutto sulle spine, mentre io rimestavo in mente il suo discorso.
Alla fine dissi:
“Va bene, facciamo come dici tu!”
Sul suo volto apparve un sorriso rilassato,
“ Lo sapevo che ti saresti comportato in maniera intelligente. Sei un grande, Erminio. Sono sicuro che saremmo sommersi da una cascata di soldi” aggiunse prendendomi le mani.
Fu così che mi trovai a firmare una pila di contratti di partecipazione a programmi televisivi che avevano tutta l’aria di cambiali.
Presi a far la spola tra uno studio e l’altro. Il copione era pressoché sempre lo stesso, partiva la discussione, io intervenivo, qualcuno degli ospiti mi interrompeva aggredendomi verbalmente, io gli chiedevo gentilmente di darsi una calmata, lui mi affrontava a muso duro ed io lo stendevo con tutte le garanzie che nessuno si sarebbe mai sognato di farmi causa.
Poche volte ci furono delle varianti.
Una volta mi capitò un autore che mi chiese prima dell’inizio del programma se potevo fare il mio numero usando qualche mossa particolare.
“ Prova ad attaccarmi un joy pad in culo e a premere L1 X” fu la mia risposta, ma quel tipo quella sera fu fortunato. Infatti la mattina prima ero scivolato ed avevo battuto il gomito sinistro a terra. Il braccio mi faceva ancora molto male, quindi dovetti stendere l’opinionista di turno a calci. Eccolo accontentato.
Un’altra sera colpii il mio rivale ma gli feci soltanto male. Lui si intimorì e tornò a sedersi con la coda tra le gambe e l’intera serata si rivelò fiacca. Alla fine gli autori si incazzarono con me, arrivarono fino a chiedermi un rimborso perché non avevo spaccato la faccia a nessuno.
Nel frattempo ero diventato veramente l’eroe del momento. La gente mi fermava per strada e mi chiedeva autografi e mi baciava le mani.
“Ehi domani con te c’è quel tizio che non sopporto proprio, ti raccomando dagliene tante anche da parte mia” mi dicevano di solito.
Persone normali avrebbero dovuto odiarmi a morte per quello che facevo in tv, per gli esempi che davo ai loro figli, loro invece riponevano in me tutte le loro repressioni. Era sete di sincera violenza la loro, non di quella artefatta dei film d’azione, ed io non facevo altro che somministragliene piccole dosi ogni sera, come morfina ad un malato terminale.
Poi mi capitò di essere invitato alla festa di compleanno di un famoso attore che spesso era presente ai miei show. Questi si era sempre ben guardato dall’attaccare briga con me, o probabilmente ancora non era mai stato il prescelto della serata. D’altronde lui con la faccia ci doveva lavorare e sarebbe stato un bel danno rovinargliela.
In ogni modo, la sera del suo compleanno mi presentai in uno dei locali più alla moda della città per prendere anche io parte alla festa. Facevo anche io parte in piena regola dello star sistem.
Mi si avvicinarono una ragazza con un microfono in mano e un cameraman e mi fecero un’intervista.
Il giorno dopo rividi l’intervista alla tele ed un particolare mi fece quasi strozzare mentre mandavo giù la mia birra. Sullo schermo oltre alla mia faccia, apparve il mio nome, Erminio Tagliaferro, e sotto di esso c’era una scritta più piccola ma comunque ben leggibile. Lottatore televisivo avevano aggiunto.
Dio mio! Pensai.
Sin da piccolo avevo sognato che un giorno sarei stato ricordato per aver scritto parole memorabili, non so quante volte mi ero fermato a sparlare di Jim Morrison che ad un certo momento era diventato più famoso per le sue storie di droga che per le canzoni che cantava, o di Melissa P che aveva venduto il suo libro perché aveva rivelato in pubblico che usava una spazzola per masturbarsi.
Io che aspiravo a diventare uno scrittore del calibro di Dostoevskij ero stato messo alla stregua di un picchiatore balordo.
Girai per casa non sapendo come comportarmi, entrai nel mio studio e guardai la tastiera del mio pc impolverata e la penna riposta sul mio blocchetto degli appunti. Era passata una vita dall’ultima volta che avevo scritto una riga.
Nella trasmissione successiva a quell’episodio me ne stetti zitto a farmi insultare dal solito sapientone. Non mossi un muscolo, né mi degnai di guardarlo una volta in faccia. Egli stesso andò in crisi, non aveva più argomenti, rimanevo impassibile ad ogni sua provocazione. Guardava avvilito il conduttore e questi guardava me di sottecchi. Dalle quinte mi facevano ampi segni di muovermi a reagire. Anche il pubblico si impegnò ad incitarmi. Io però continuavo a fare orecchie da mercante. Poi il mio contestatore prese ad insultare mia madre. Lì mi scattò la molla. Toccatemi tutto, ma mia madre proprio no. Mi avventai su di lui e lo massacrai di cazzotti, mentre il pubblico in delirio gridava olè ad ogni fendente che gli assestavo in corpo. Continuai ad infierire sull’oratore anche dopo che lui era cotto. Me lo dovettero strappare dalle mani.
Ci fu qualche giorno di pausa ed io ebbi la possibilità di chiudermi in casa a rimuginare.
La domenica dopo, di mattina, mi presentai ad una riunione degli autori nella redazione del programma televisivo sportivo che andava in onda in seconda serata. Gli addetti ai lavori furono molto sorpresi del fatto che mi trovassi lì anche io.
“Signori, vi annuncio che io non darò più certi spettacoli da questo momento in poi. Io voglio essere ricordato per ciò che scrivo non perché picchio la gente in televisione. Sono comunque disponibile a partecipare alla trasmissione di stasera perché ritengo, e questo lo sapete bene anche voi, di capire di calcio molto di più della maggior parte di quell’altra gente che invitate voi, forse anche di qualche calciatore professionista. Altrimenti non vi parteciperò e voi sarete liberissimi di farmi causa per non aver rispettato i miei impegni con voi” dichiarai senza preamboli.
“No, non ti preoccupare. Certo che puoi venire stasera. Sarai il benvenuto come sempre. Sappiamo benissimo che noi sei solo calci e pugni in faccia” mi rassicurò il produttore.
Mi sentii abbastanza rinfrancato da quelle parole. Molto più rilassato di quanto ero entrato, salutai tutti e dissi che me ne andavo allo stadio a vedere la partita.
Mi recai a prendere l’ascensore e mentre aspettavo che si aprissero le porte mi accorsi che mi ero dimenticato le sigarette sul tavolo. Tornai indietro alla sala riunioni. Da dietro la porta fu impossibile non ascoltare quello che dicevano dentro la stanza visto che parlavano a voce altra.
“ Ragazzi, si è presentata un’occasione più unica che rara. Stasera ci dovrà essere un passaggio di testimone, quello stronzo dovrà andare al tappeto. Quindi sotto ad escogitare qualcosa” diceva il produttore. Un istante dopo entrai io per prendere il pacchetto sul tavolo. Tutti mi guardavano in silenzio chiedendosi se avessi sentito o meno le loro ultime frasi. Certo che le avevo ascoltate e avevo capito che ormai per loro ero diventato un oggetto, e chissà da quanto tempo poi. Avevano già deciso la mia fine ed io non potevo sottrarmi al supplizio, se no chi lo sa cosa mi avrebbero combinato per farmela pagare. Quella gente quando vuole sa essere davvero infame.
Andai allo stadio e vidi giocare la mia squadra del cuore, il Napoli. Fu una partita bruttissima. Gli azzurri, ci misero cuore e gambe, fecero un gioco davvero impeccabile, ma l’arbitro si dimostrò dichiaratamente contro di loro. Dire che usava due pesi e due misure era poco. Non era possibile che sbagliava sempre a favore della squadra avversaria, che per altro era la prima in classifica.
Quella partita fu peggio di Italia - Corea del Sud del duemiladue. Perdemmo la partita per un gol su punizione dal limite fischiata per un fallo inesistente al secondo minuto dei recupero e alla fine scoppiò quasi una rissa in campo. Me ne tornai profondamente amareggiato. Quel match era la prova evidente che il campionato deve essere vinto solo dalle squadre che appartengono ad un determinato sistema.
In trasmissione mi sarei sfogato a dovere, avrei sparato a zero su tutto e tutti, questa volta sarei stato io l’urlatore e volevo vedere chi avrebbe avuto il coraggio di contraddirmi.
Ebbi questo pensiero fino a quando non mi trovai nello studio televisivo di fronte ad un vero e proprio gigante. Avevano chiamato un killer professionista per farmi fuori. Questi era alto più di due metri e si portava addosso più di cento chili di muscoli. Spuntarla a botte con lui sarebbe stato come pretendere di spaccare una montagna a cazzotti. Ritenetti cosa molto intelligente starmene sulle mie e non fare mosse avventate. Con questi non potevo usare la forza, ma il cervello. Almeno era questo quello che pensai all’inizio, lo giuro su ciò che di più caro ho al mondo. Golia, giusto per chiamarlo con un nome, ogni tanto mi guardava negli occhi e mi mostrava un risolino come a dirmi “Adesso vedi che ti combino”.
Manco a farlo apposta l’argomento principale della serata era la partita che avevo visto io. Il conduttore e tutti gli altri fecero di tutto per farmi salire la pressione. Lodarono la prestazione dell’arbitro, che secondo me doveva essere licenziato in tronco, esaltarono le capacità della squadra capolista. Commentarono le immagini dell’incontro dando sempre ragione all’arbitro, anche quando i falli non fischiati erano lampanti.
“Ehi ma che cazzo di partita vi siete visti?” proruppi io non potendone più di tutte quelle fandonie. Ecco che mi concessi bello al dente su un piatto d’argento al mio mattatore .
“E’ proprio un vizio di tutti voi napoletani far sempre le vittime. Avete perso, perché non ci volete stare? Già dovreste ringraziare il cielo perché giocate ancora in serie A” mi rispose col suo vocione che sembrava avesse ingoiato il microfono.
“Pezzo di merda prima di parlare di noi Napoletani lavati la bocca hai capito?” scattai all’in piedi. Mi ci volle meno di un secondo per realizzare che ero caduto in trappola. In men che non si dica, la montagna umana fu a due passi da me e mi sferrò un pugno. Fortunatamente fui veloce a spostare la faccia e a non farmela rompere, però mi beccò lo stesso in pieno la spalla destra e mi fece volare all’indietro. Rotolai per terra per un bel po’ di metri. Non mi sentivo più la parte destra del tronco come se stesse per venirmi un ictus. Mi misi carponi e scorsi che dalla tasca della mia giacca era caduto il mio coltellino svizzero. Quest’ultimo mi fu regalato da un ragazzo spagnolo durante il mio primo inter rail. Avevo diciassette anni. Ci conoscemmo a Marsiglia e viaggiammo assieme fino in Olanda. Lui me lo diede come suo ricordo al momento che ci lasciammo. Da allora lo porto sempre con me quando vado in giro. Guardai verso il mio picchiatore e lui era sempre lì, ritto e pieno di se che mi aspettava. Restai rannicchiato a terra ancora per un po’ di tempo. Sfilai la lama del coltellino senza farmene accorgere. Quanto è vero Iddio giuro che volevo solo conficcargliela nella coscia o in una mano per renderlo più mansueto, perchè ero sicuro che tanto avesse smesso di darmele quando m’avrebbe ucciso e tutti i presenti l’avrebbero lasciato fare. Fu per difendermi non per attaccare. Mi precipitai su di lui a testa bassa stringendo il coltellino in una mano. Lui però mi afferrò per le braccia e mi sollevò di peso e cominciò a stringere, stringere, stringere, fino a stritolarmi. Sentivo tutte le ossa andarmi in frantumi. Mi feci paonazzo e mi mancò l’aria. Nel frattempo il pubblico urlava e lo incitava a farmi ancora più male. In un attimo si erano schierati tutti contro di me. Ebbi la forza di fare una sola cosa. Divincolare un braccio e menare un fendente per liberarmi. Sfortuna ha voluto che gli diedi il colpo proprio con la mano che stringeva la lama. Avevo gli occhi chiusi e quindi non presi neanche la mira. Avevo colpito e basta e gli avevo giusto tagliato la gola di netto.
Cademmo a terra tutti e due. Io mi alzai quasi subito e lo vidi smaniare e muoversi davanti ai miei piedi come un verme. Mi guardava negli occhi. Voleva parlare ma l’aria gli usciva dallo squarcio che gli avevo provocato e non dalla bocca. Mi tese le mani in un ultimo gesto disperato di chiedere aiuto e poi pof! Abbassò le braccia e chiuse gli occhi.
In tutto lo studio cadde un silenzio agghiacciante. Nessuno voleva credere che tutto ciò fosse accaduto realmente, forse il primo ero proprio io. Le mani mi tramavano e gli occhi cominciavano a lacrimarmi fino a farmi vedere tutto sfocato.
“Chiamate un medico!” urlò qualcuno e poi si sentirono ancora altre grida di panico e di terrore e altre voci che invitavano alla calma e qualcuno mi chiamò bastardo assassino attirando l’attenzione di tutti su di me. Io mi girai intorno e fui certo che fra poco mi avrebbero linciato. Così puntai dritto sull’uscita di emergenza e cominciai a correre più veloce che potevo, mi pareva quasi che i miei piedi non toccassero terra. Scappai via dallo studio. Dimenticai anche di prendere l’auto e mi precipitai a piedi in strada. Non sapevo dove andare, sapevo solo che dovevo fuggire. Milioni di persone avevano visto quello che avevo combinato. Non avevo scampo. Infatti le volanti della polizia mi furono addosso in un niente e così la mia fuga finì presto.
E’ tutto signor giudice-
- Bene può tornare al suo posto, allora-
Erminio Tagliaferro tornò a sedersi dietro al banco degli imputati. Aveva detto tutta le verità, solo la verità, nient’altro che la verità, l’aveva giurato. Il suo avvocato difensore lo rincuorò con una pacca sulle spalle. Erminio sospirò e si guardò attorno. Il giudice visionava le carte per capire a chi dare la parola. Tra il pubblico c’erano molti di quelli che aveva pestato in precedenza. Erminio guardò il soffitto alla ricerca di qualcuno o di qualcosa. Forse se la sarebbe cavata o forse no.

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