Scritto da © Franco Pucci - Mar, 22/02/2011 - 16:03
Nel buio ovattato che avvolge il cinema d’essai
mentre una tremula luce blu indica la via d’uscita,
riflessi di una pellicola in bianco e nero scorrono,
giocano a rimpiattino sul velluto della pesante tenda
che maschera il retro squallido col suo rosso centenario.
Immagini come flash-back di una storia neorealista
raccontano lo scorrere di una vita immaginata a colori,
narrata con la regia complice di un regista accomodante
alternando verità a fughe nelle menzogne più banali
riaprono ferite che il tempo non ha mai rimarginato.
Vorrei non avere occhi stanchi per vedere la parola fine
e mani ancora abili per raccontare in verità la trama
di una vita nomade vissuta traslocando l’amore
da una nuvola all’altra, a cavallo di scope immaginarie
invidiando nel racconto la realtà di “Miracolo a Milano”.
Alzo il rosso secolare, lo squallore del grigio mi sovrasta
conosco la fine della storia, poco importa commentare
cerco disperatamente un luogo discreto dove suturare
le ferite dell’anima col nuovo refe appena acquistato
l’ago è qui con me, appeso alle parole di questa poesia.
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