Addio mia bella Napoli, mai più ti rivedrò... Oh! Oh! Oh! | Post comici, demenziali, ludicomaniacali | Manuela Verbasi | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Addio mia bella Napoli, mai più ti rivedrò... Oh! Oh! Oh!

 Egli era come un fiato pesante, nel giro di un tango riempiva la stanza della sua alitosi dovuta a cattiva digestione di poesie non sue. Ci mise tutta la volontà che aveva, quella che non aveva se la fece prestare da due amici pagando un tasso piccolo, qualche commento quasi sempre pari a una sonata di Mozart.
Fece un ottimo lavoro sezionando ogni creatura viva o quasi che s'avvicinasse al giardino che aveva  preso per usucapione, essendo che il proprietario non lo curava da un bel po', o almeno, così pareva a lui e lo rese asettico, sterile, grigio topo quasi nero, l'atmosfera calda di una cella mortuaria, qualche mazzo di gladioli marciti nell'acqua verdegialla, la testa a terra, gli unici colori intorno.
Inutile chiedere di essere graziati, il suo metodo era uguale per tutti, cani, porci e anche mezze seghe, tutti battezzati dalla prima alitata di benvenuto (leggi soffiando), tanto per dire a chi si sedeva, che lì i posti erano solo in piedi, e se qualche sgabello c'era, non era per tutti ma per i pochi eletti all'unanimità da se stesso. Quindi alzatevi, schiena al muro, vergognandovi di esistere e di venire a lordare con le poesie il giardino morto. 
A dire il vero, sembra che prima che arrivasse lui, lì non fosse così tetro e spento, e nessuno osasse proferir parola per non essere vilipeso e sputato in faccia. Anzi, si organizzavano tombolate a Natale e tuffi di mezzanotte a ferragosto. Gli ci volle davvero molto impegno ad ammazzare tutto, questo va detto.
Una volta visto che non cresceva un filo d'erba in quel giardino triste, e i poeti educati a stare con il capo chino, qualcuno scodinzolante, altri appena col pelo arruffato gli ringhiavano ma poi decidevano di andarsene per non mangiarsi il fegato, decise che il suo ruolo era finito, la sua opera omnia terminata, poteva andarsene, ritirarsi nelle sue stanze a scrivere meraviglie su meraviglie ispirandosi all'unico amore che meritasse di vivere sulla faccia della terra: il suo. Vaffanculo a tutti gli altri, o meglio, diede loro il merito della distruzione, e fu la prima e ultima volta che diede agli altri qualcosa su cui sorridere.
Si vestì di tutto punto, si fece noleggiare un mantello e un cavallo (un pony con un battocchio davvero importante), impugnò la spada e con questa scrisse l'ultimo atto di una commedia il cui protagonista lasciava le scene galoppando il pony fiero e sventolando il mantello di velluto pesante.
 Fu una fortuna perché da subito, il giardino riprese a fiorire, crebbero piantine nuove, si rafforzarono quelle portate dal vento, e il vecchio proprietario, poté riprendere la sua terra e sperare che tornassero le farfalle, l'arcobaleno (così retorico poveretto ma tanto colorato), e l'aria profumata di primavera. 

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