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Ad Emily Dickinson

 
 
Per te domestico vulcano.
Dismisura del limite.
Basta spaccar l’allodola
per trovarvi la musica
anche nei giorni della merla.
 
Per te,
clessidra di silenzio dal manico d’osso,
il mondo a qualsiasi distanza
passò dalla tua chiusa stanza,
come dalla cruna di uno sguardo
un universo passi e si squinterni.
E l’infinito ebbe la latitudine della tua casa.
La declinazione di noi tutti.
Everybody’s Nobody, o Emily Lilliput.

 
Scelta la quiete per folla.
E gli spiriti a soli spifferi.
Eletto il ritiro come divertimento.
I pettirossi e i ranuncoli per intrattenimento.
Sull’acqua mi cammini
per sfratto o per scongiura
controcuore forse.
Reclusa in torride torri eburnee,
la mente sfonda i recinti.
E en plein air o nel più tetro atelier,
non ha cul-de-sac il cuore,
non di divieti si cura,
né delle insidie dei troppi “hic sunt leones”.
Questua tortora che chiedi un porto,
un rametto morto,
una generosa carità sine die.
 
Quando le cime si rannuvolano
sono isole sole nella nuvolaglia.
E i monti svettano monchi
per mozziconi spuntati.
Allora la vetta isolata
risplende più di tutte
per l’altezza nell’assenza.
Meta bramata dagli scalatori.
 
O Emily, Emily,
quanto abbiamo studiato
per come abbandonare la casa
non visti!
 
«Madame! Je vous ai trompé:/ nous n’avons pas fait ce voyage/…Ce voyage n’est que mon rêve,/ nous ne sommes jamais sortis/ de la chambre de nos penseés » (A.Gide, "Envoi")

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