7- Il migliore dei mondi possibili: il mio | Prosa e racconti | Franco Pucci | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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7- Il migliore dei mondi possibili: il mio

Non era molto alto. O almeno così mi apparve, seduto, quasi arrampicato sulla poltroncina che sono riuscito, dopo sforzi sovrumani, a incastrare nell’angusto spazio disponibile del mio poggiolo e che di solito ospita, preferibilmente di notte, le mie elucubrazioni e considerazioni filosofiche sulla fallacità dell’essere umano (questa mi è venuta bene, me la segno). Non ho mai capito questo proliferare di poggioli angusti, asfittici che va tanto di moda nel Veneto, quasi fossero pensati per una popolazione di piccoli alieni avari. Dei piccoli Arpagone in salsa franco-veneta.
 
Non era molto alto, dicevo, di colorito bluastro e con due fessure sottili che a prima vista classificai come occhi, ma che a ben pensarci, avrebbero potuto essere delle piccole faglie che segnavano, come in una cartina geografica, con il loro lampeggiare, un tracciato di rughe e pieghe rocciose. Era un volto? Non mi posi la domanda, ero come impietrito, per l’appunto, quasi lo sguardo del piccolo alieno racchiudesse in se i poteri del mitico Argor o della Medusa. 
Aveva girato la testa e ora mi fissava. Una luce arancione si muoveva con studiata lentezza nei suoi occhi, percorrendo le due cavità alternativamente, da sinistra a destra e viceversa, quasi fosse un lettore elettronico, uno scanner che ispezionava e interrogava il mio corpo, la mia presenza. Si fermò, infine, quel raggio indagatore e una voce metallica, che parve uscire da altrove, ordinò: “Vieni!” Stese la mano, il piccolo essere e rimase in attesa. Attimi lunghi anni, decisi di ubbidire, come soggiogato da tanta autorevolezza e afferrai la sua mano. FU un lampo, una scarica di adrenalina, chiusi gli occhi…volai? “Abduction…abduction, ” nella mia mente ripetevo questa parola, l’unica che io conosca a significare quello che, in quel momento, mi parve essere un vero e proprio rapimento. “Guarda – disse la voce con tono imperioso- apri gli occhi e guarda!” Il tono non ammetteva repliche o disobbedienza, aprii gli occhi e…
 
Fu in quel momento che una voce a me cara apostrofò dolcemente preoccupata: “Che fai lì sul poggiolo, a quest’ora? Sempre con la testa tra le nuvole, eh? Vuoi un caffè?” Non risposi subito, ero come impietrito e, mentre fissavo la poltroncina vuota davanti a me, mi accorsi di non avere mosso un passo…chissà da quanto ero fermo così, in trance. “Certo, cara, vengo subito” trovai la forza di rispondere e, mentre mi voltavo, distogliendo lo sguardo dalla scena vissuta poc’anzi, un lampeggiare arancione parve accompagnare i miei movimenti. Tornai a letto alquanto scosso per l’esperienza, ma con una punta di rammarico dentro di me, poiché non nascondo che avrei fatto con piacere un “viaggetto” in un altro mondo, civiltà sconosciute, tecnologie avanzatissime, chissà (la lama arancione pulsava ancora nei miei occhi)... Istintivamente allungai una mano, la risposta fu subitanea nella stretta serena e consapevole della mano di chi ogni notte mi rapisce. Mi girai e immediatamente ritrovai il migliore dei mondi possibili. Il mio.
 
 

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