Scritto da © rossovenexiano - Mar, 28/02/2012 - 17:05
©Stefania Stravato
Sentì le corde di neve scivolare intorno alle sue caviglie, stringendole in nodi di implacabile condanna, quando nel piombo echeggiò, beffardo, l'urlo del silenzio, a lacerare la fragilità della luce. Lasciò che la polvere addensata a grumi di nero nelle iridi, si svolgesse a serpentina nella bruma, naufragando flebile verso il lamentare degli angeli impigliati tra i rami della terra senza nome, che si stendeva in assoluto dominio della solitudine. I laceri ricami delle loro vesti si confondevano, sfumando nella stanchezza delle rose che si accompagnava al vagare di sorrisi, perduti, ovunque, in quell'aria che aveva sommerso di ruggine le chine di primavera, che un tempo l'azzurro aveva leccato di corolle stupefatte. A volte, quando una stella fuggiva dalle lontananze dell'immenso e si gettava tra le lance della notte, allora sentiva il bruciore dolcissimo di quel sangue d'oro, colare lungo il pallore del suo tempo e con le dita che ricordavano ancora il profilo sontuoso della vita, disegnava un'ala di farfalla, appoggiata senza peso sul ventre, a tremare la verginità dei giunchi vivi nelle sue vene.
©Stefania Stravato
Di quel giorno è attuale la caduta;
perché cado ancora - questa certezza viene dall’aria
come forza la bocca - per cumulo d’inciampi o
subendo il rovescio dei gesti o malmenando
il portamento del prato dovunque ci sia
un risveglio di Terra.
Ogni secondo mi ha trovato pronto ad una nuova conta
e per meno di niente ho detto: sarò diverso,
più alto e più ampio, ma alle strette
sono passato sempre.
Adesso il tuo corpo, qui, è nel mio corpo,
una legenda sulla corteccia.
©ferdigiordano
- Quale cielo guardi -
se mi ricordo:
quelle rose, poggiate
nella vaghezza d'aria
e tu, mio amore
dormivi; sotto respirava, il mare
e poi anche, i palmi
che ti passavo
distesi sulle pieghe, di baci
ancora chiusi
oh oh, a quale cielo guardi
figlio, quale orizzonte di ferro
ti striscia, nei passi
e si avvinghia al sangue, di ruggini
e veleni
nel fuoco, mio amore
nel fuoco, lo vedi, lo senti
cade, il tramonto e in quel nero
che arde, stanno morendo,
tutte, le farfalle dell'ultima estate;
e le memorie di te e di me, saranno
solo vento.
©Stefania Stravato
Avrei voluto ornarmi
dei lustrini della neve
per danzare insieme agli elfi
respirando odor di muschio
e librarmi sulle acque
di sorgenti senza tempo
con ali di libellula
tra i colori dei pastelli
suonare campanelle
di fiori raccolti nelle culle
e sbocciati sugli scogli...
ma un binario c'era solo,
mi indicava dove andare
per morire innanzi tempo.
©Sara Cristofori
Raffiche di te
dentro vene di pietra
graffi sanguinanti
d'interferenze melodiche
e il destino che non sai
al sospiro delle rose
alle aurore brinate d'erba
sui binari e tra i sassi
©Manuela Verbasi
Pietra viva
onde regolari
superfici inchiodate al petto
laminate distanze
Inutili fiocchi di ciglia.
©Marika
Mutazione
Non mi spaventa
questa pioggia
acida e amara
che graffia i sassi
e si insinua
nelle connessioni dell'Anima
Puoi anche ridere,
di me,
e pensare
che la tristezza delle mie parole
faccia cortina alle incertezze
di un clown
che non vuole crescere
e paventa il suo domani
Colsi fiori
per te
e il tempo
ha consumato
profumo e colori
con lo spirito di quel tempo
ho atteso il treno
che doveva portarti a me
domani
se mai verrai
troverai altra forma di me
nell'apparente mutazione
di una tensione
che non muta.
©mario calzolaro
- Da sera a sera -
nemmeno un'eco
che ricordi
la mia canzone, migliore
o l'illusione di rugiada, ad assaggiare
il vermiglio, di rosa
sgranato, ormai
a preghiera, stanca
le tacerò, tutte
albe e tramonti
e ogni bastarda primavera
che si azzardasse, a piovermi
di azzurri, sulla polvere
di tutte le mie vite, giocate e perse
voglio stare sui sassi, violenti
che si ergono, dal piombo
e m'innamorano i passi
lontano, nel dove
abita, solo la mia ombra
a fumarmi
lento, da sera a sera
il mio oro, il mio sangue
nero.
©Stefania Stravato
un fiore agli occhi non è bosco né vallata
quando gli scambi sono ancora mistero
e chiedono fango sotto le suole spesse
per insegnare a curvare il ferro in direzione
si vorrebbe poi ridere di un antico broncio
radicato nello sterno
ma è sempre dalla stessa terra che ricresce
la scommessa persa con la lievità
©amara
E quegli steli sorreggono a stento
un calvario di bulbi sbiaditi,
- direi rinsecchiti -
Gli occhi lasciano flebile scia
sguazzando nel cielo blu cartolina
- azzurro per tutti -
I vestiti si attagliano scomodi e stridono
nei loro eleganti colori cangianti
- buffo è l'insieme -
Un camino, un tetto, del pane
un baratto di ferodi e cigolii di ruote
- alle orecchie -
È scappato piangente anche il cane
rubandomi lacrime dalle pallide gote
- le migliori -
Ora fiori e mestizia,ma un domani di gioia
se riuscirò a carezzare la luce del giorno
- al risveglio -
©Stanca Mente
Volevo farti ridere
col mio essere pagliaccio
e persino intenerirti
con i fiori più belli
raccolti dentro me
ma così lungo è stato
il tempo dell'attesa
e ormai è troppo tardi
per sperare un tuo ritorno.
Come bimbo deluso
in questi abiti da uomo
chiedo ragione al cielo
lo guardo e anche
un po' lo prego
ma mi accorgo solamente
che tra poco pioverà.
©Sara Cristofori
Mesto sorriso
Smarrito lo sguardo
ad inseguire il volo
d'un gabbiano solitario,
mentre anche il treno della fantasia
ha perso la sua motrice,
ripenso
ai giochi d'un tempo bambino.
Ora percorro,
freddi,
i binari della vita.
Ho grandi scarpe
e stanchi fiori per voi,
ed un sorriso
che neppure la tristezza
potrà cancellare.
©mario calzolaro
-Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano -
Selezione testi a cura di: crobiotermi- Andrea Occhi- Stefania Stravato- Mario Calzolaro- Franco Pucci- fintipa2- blinkeye62- Stanca Mente - fra quelli che sono stati pubblicati qui
la frase nel titolo è di Francesco Orrù
un sentito ringraziamento agli autori che hanno partecipato all'iniziativa
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