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Anti-elogio dell'età del ferro: Iron Lady

Grazie al cielo, ci siamo finalmente liberati della orrida Madame Thatcher, per quanto oramai inoffensiva, e per quanto qualcuno si sprechi a decantarne una gloria non solo immeritata, ma infondata, irreperibile. Questi è il furbo, ma ottuso, damerino installato al numero 10 di Downing Street, ossia mister Cameron, l’odierno premier inglese che si è sbrigato a sperticarsi in uno sproloquiante elogio funebre: è stata la più grande statista inglese dal dopoguerra. Ahimè…
La lezione non è servita e il passo d’apocalisse impresso alla storia dal micidiale asse “Reagan-Thatcher”, ove la testa era lei e Reagan soltanto una comparsa di altri attori, non ci risparmia da questa ulteriore beffa dei piagnistei funebri.
Allora, in Madame non scintillava soltanto una sorda ostinazione contro tutto ciò che non capiva, ma si faceva altresì mestiere di infischiarsene del prossimo e della società. Non esiste una cosa chiamata società, era solita dire. Era quindi fiera di non comprendere quei temi. Era imbevuta di ideologia liberale vonhayekiana e questa, nella sua misera ristrettezza, occupava tutta la sua mente, convincendola assolutamente della visione solo econimicistica, e anzi finanziaria, di quella impalcatura ideologica. Perciò una cosa come i temi sociali, o l’intelaiatura della società, costituita da un sistema di contrafforti, di salvagente, di ammortizzatori atti a contenerne gli squilibri, era per lei “socialismo”, ossia gli alieni, l’invasione degli ultracorpi.
Questo determinismo assoluto, rinchiuso nella “gabbia” ideologica concepita da Von Hayek, non consentiva spiragli o remore di carattere sociale o umanitario, anzi, riteneva questi scrupoli degli ostacoli che avrebbero recato danno persino a coloro che si ripromettevano di “salvare”. Il mercato domina la realtà ed è l’unico veicolo possibile della ricchezza, quindi del benessere anche degli esclusi. L’errore è qui epistemologico. È nel sapere che si produce questa falla, è lì che si reca un danno irreparabile e di portata immensa. All’osso, non è che questo: la finanza viene installata al posto dell’umanesimo. La cultura non conta più un accidente. Chiunque può disinvoltamente arricchirsi senza stare a farsi troppe premure su giusto e ingiusto, su bene e male, su corretto o illecito. Il mercato di instaura da sé, si crea le proprie regole in corso d’opera; non abbisogna di uno Stato che gli faccia da balia, con le sue norme inestricabili e i suoi codici e codicilli civili che non fanno che mettere bastoni fra le ruote gigantesche della macchina degli affari. Tutto ciò è all’apparenza “concreto” e convincente- ma è un trucco. Invero non è che barbarie, una revanche dell’uomo “limbico”, pulsionale, rapace contro la cattedrale di vetro della civiltà- che basta un niente a mandarla in frantumi. Si vede dalle conseguenze che- dai primi passi delle privatizzazioni e delle delocalizzazioni- a un’ondata di licenziamenti e di malessere sociale, fa seguire una contro-onda di benessere quasi spropositato. Una pioggia di denaro si riversa sulle borse, e quindi nelle tasche dei cittadini che, a quel punto, sono imboniti abbastanza per credere nella medicina miracolosa del liberismo. Ma poi arriva la realtà, e le cose cambiano. Come mi disse un conoscente banchiere, quando una casalinga vuole andare a giocare in borsa, qualcosa si è incrinato nel sistema, non nella testa della casalinga.
La falla anti-umanistica  nel sistema di Von Hayek era proprio questa: se tutti condividono quell’ideologia, da dove prendono i beni? Se siamo tutti finanzieri, chi lavora? E d’altronde, chi me lo fa fare a fare il lavoratore se anche io posso essere il manager?.In capo a tre generazioni, tutti erano in grado di giocare in borsa e nessuno voleva restare indietro, a lavorare e a sgobbare per i manager. Si scatenò una guerra dei furbi, finché, e qui sta il peggio, i più furbi di tutti cominciarono a imporsi dappertutto. Ora, chi sono “i più furbi”? Semplice, quelli che hanno meno scrupoli- ossia quelli che più di chiunque altro disprezzano e calpestano il diritto e l’equità sociale, specialmente nei confronti dei meno abbienti, loro sottoposti. E questi sono al giorno d’oggi i regimi sotto tirannia, che non tengono in nessun conto le vite singole dei cittadini e dei lavoratori. I nuovi ricchi, o nuove mafie: i Cinesi, i Russi, persino certe dittature mascherate sud-americane, arricchitesi con le loro immense risorse.
E questo il mondo spaccato lasciatoci in eredità da Madame. Un mondo su cui incombe in aggravante l’incubo degli arsenali nucleari e della catastrofe ecologica… Grazie Madame, grazie Von Hayek. Eccolo qui il vostro bel giocattolo mercantesco, la catallassi, il libero scambio. I missili ci scambieremo. 
Detto in altri termini, il modello soltanto economico propugnato da Madame e dal suo oracolo “asburgico” (Von Hayek veniva dalla grande Vienna di Cecco Peppe) illustra una sorta di scenario marxista, depurato tuttavia della sua vernice comunista. Si tratta, in effetti, di una specie di comunismo dei soldi, ove ogni presupposto di natura umanistica, ossia fornito di connotazione valoriale slegata ed avulsa dal valore mercantile, viene estromesso e amputato dal contesto dell’esistenza e della dimensione antropologica dell’essere. Così che il panorama ne risulta decurtato e sterile, perché antepone alla causa culturale dei fenomeni (che sono fenomeni in quanto trascendentali, ossia, alla Kant, epistemologici) ciò che non può che esserne conseguenza, cioè il loro benessere materiale. In sostanza, quelli di mercato, di profitto, di finanza sono concetti e in quanto tali secondi alla configurazione concettuale da cui procedono. Essi si costituiscono come intelligentsia, dal cui termine si evince semplicemente la loro derivazione dall’intelligere, dal cogliere con l’immaginazione e col sapere l’origine del proprio movimento. Il mercato e il profitto non sono che un sapere del mercato e del profitto, un discorso, che, come tale, è l’equivalente di ogni altro discorso, o esperienza, della nostra essenza linguistica. Privilegiarlo rispetto a tale essenza è la contraddizione che contrappone economia e umanesimo, concedendo erroneamente alla prima la palma del predominio. Senza accorgersi che se così fosse, l’umanesimo non sarebbe servito, né servirebbe più a niente, fornendo un concetto tuttavia e ancora umanistico alla pura fame di vita animale che condividiamo con lupi e squali, gattini e criceti.
Questo è il cuore del problema e dell’errore di Madame e di Von Hayek: aver fornito di una chiave umanistica e interpretativa l’anti-umanesimo di fondo del loro atteggiamento. Di modo di rifornire di alibi persino morale la rapacità, l’egoismo e la matrice selvaggia dell’intrapresa d’ogni abietto pezzente della Terra. In tal guisa si da ragione con la ragione al cervello antico, alla struttura limbica e animale dell’uomo, cioè a quella non dotata di ragione, pulsionale, ancestrale, violenta. E l’umanesimo si abbatte da sé, riconducendosi a rapporti puramente primordiali, fondati sulla sopraffazione.
Il più illuminante paradigma di tutta questa materia è la nascita della democrazia in Atene. In un tempo in cui tutta la storia era dominata dai re latifondisti, in Atene i possedimenti terrieri, su un territorio roccioso e ostile, non contavano un accidenti: bisognava industriarsi ad inventare una alternativa per sopravvivere. Dato che un re proprietario terriero non serviva a niente, perché non poteva garantire alcuna forma di sostentamento semplicemente sfruttando le risorse agricole, che non c’erano, gli Ateniesi dovettero inventarsi un espediente culturale per ovviare a tale carenza di materie prime. Così inventarono l’industria (del sapere, della ceramica, dell’arte), un’industria da esportare per essere scambiata coi prodotti agricoli. Dovettero così provvedersi anche di un sistema degli scambi che governasse i rapporti coi fornitori. Appunto, non un re, ma un governo. Fu così che nacque la democrazia: l’industria si auto-governava, perché un monarca-padrone-latifondista gli era superfluo e parassitario. È dal sapere che muove l’economia, e quindi il benessere. Non viceversa. Chi antepone il mercato allo stato, inverte i termini e precipita nell’anti-umanesimo, ossia nel proprio contrario, nella recessione, nella fame atavica. Cioè, in ciò che stiamo vivendo.
La crisi del nostro tempo e del nostro mondo è la conseguenza dell’anti-pensiero di Madame e del suo profeta. Con il che, ben lungi dall’elogiarne la scomparsa, non possiamo che tirare un sospiro di sollievo all’idea che i campioni della satan-economia abbiano perso il loro di campione, il loro“migliore” referente. Amen.
 

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