Questa creaturina, non sua, ella l’ama come se l’avesse essa messa al mondo; ella soffre di vederla soffrire, per malattia o per miseria, come se fossero viscere sue; nella piccola umanità infantile napoletana, i più battuti sono certamente i figli legittimi; di battere una figlia della Madonna, ognuno ha certo un ritegno; una certa pietà gentilissima fa esclamare alla madre adottiva: Puverella, non aggio core de la vattere, è figlia della Madonna. Se questa creatura fiorisce in salute e in bellezza, la madre ne va gloriosa come di opera sua, cerca di mandarla a scuola o almeno da una sarta per imparare a cucire, poiché certamente, per la sua bellezza, la bimba è figlia di un principe; in nessun caso di miseria o infermità, la madre riporta, come potrebbe, la figliuola all’Annunziata. E l’affezione, scambievole, è profonda, come se realmente fosse filiale; e a una certa età il ricordo dell’Annunziata scompare, e questa madre fittizia acquista realmente una figliuola.
Ma vi è di più: una madre ha cinque figli. Il più piccolo ammala gravemente, ella si vota alla Madonna, perché suo figlio guarisca; ella adotterà una creatura trovatella. Il figlio muore; ma la pia madre, portando al collo il fazzoletto nero che è tutto il suo lutto, compie il voto, lacrimando. Così, a poco a poco, la creatura viva e bella consola la madre della creatura morta, e vi resta in lei solo una dolcezza di ricordo e vi fiorisce una gratitudine grande per la figlia della Madonna.
Talvolta il figlio guarisce: il primo giorno in cui può uscire, la madre se lo toglie in collo e lo porta alla chiesa dell’Annunziata, gli fa baciare l’altare, poi vanno dentro a scegliere la sorellina o il fratellino. E fra i cinque o sei figli legittimi, la povera trovatella non sente mai di essere un’intrusa, non è mai minacciata di essere cacciata, mangia come gli altri mangiano, lavora come gli altri lavorano, i fratelli la sorvegliano perché non s’innamori di qualche scapestrato, ella si marita e piange dirottamente, quando parte dalla casa e vi ritorna sempre, come a rifugio e a conforto.
Un caso frequente di pietà è questo: una madre troppo debole o infiacchita dal lavoro ha un bambino ma non ha latte. Vi è sempre un’amica o una vicina o qualunque estranea pietosa, che offre il suo latte; ne allatterà due, che importa? Il Signore penserà a mandarle il latte sufficiente. Tre volte al giorno la madre dal seno arido porta il suo bambino in casa della madre felice: e seduta sulla soglia, guarda malinconicamente il suo figlio succhiare al vita. Bisogna aver visto questa scena e avere inteso il tono di voce sommesso, umile, riconoscente, con cui ella dice, riprendendosi in collo il bambino ‘O Signore t’ ‘o renne, la carità che fai a sto figlio ( Il Signore ti renda la carità che fai a questo figlio). E la madre di latte finisce per mettere amore a questo secondo bimbo, e allo svezzamento soffre di non vederlo più: e ogni tanto va a ritrovarlo, a portargli un soldo di frutta, o un amuleto della Vergine: il bimbo ha due madri.
Io ho visto anche altro: una povera donna andava in servizio, non poteva tenere presso di sé il suo bimbo; lo lasciava a un’altra povera donna, che orlava gli stivaletti, e lavorava in casa, cioè nella strada. Ella metteva i due bimbi, il suo e quello della sua amica, nello stesso sportone (culla di vimini), attaccava una funicella all’orlo dello sportone e dall’altra parte al proprio piede, e mentre orlava gli stivaletti, canticchiava la ninna nanna per i due bimbi; mentre orlava gli stivaletti, mandava avanti e indietro il piede, per cullare i due bimbi nello stesso sportone….
È naturale che il popolo non possa fare carità di denaro, al più povero di lui, non avendone: ma si vedono e si sentono carità più squisite, più gentili.
Una cuoca si metteva sempre di malumore quando la padrona ordinava il brodo: era soltanto felice quando si ordinavano maccheroni o legumi, o risotto, grosse e nutrienti minestre. Fu lungamente sospettata di ingordigia, sebbene alla sua personcina malandata fosse più necessario il brodo che i maccheroni: in realtà ella dava la sua minestra, ogni giorno, ai due bimbi della portinaia, e preferiva dar loro un grosso piatto, anziché tre cucchiaiate di brodo: ella rimaneva senza…
Nessuna donna che mangi, nella strada, vede fermarsi un bambino a guardare, senza dargli subito di quello che mangia: e quando non ha altro, gli dà del pane. Appena una donna incinta si ferma in una via, tutti quelli che mangiano o che vendono qualche cosa da mangiare, senza che ella mostri nessun desiderio, gliene fanno parte, la obbligano a prenderlo, non vogliono avere lo scrupolo. …
E ancora un altro fatto mi rammento. Un giorno, al larghetto Consiglio, una donna incinta, presa dalle doglie, si abbattè sugli scalini e partorì nella strada. Il tumulto fu grande: ella taceva, ma per pietà, per commozione, molte altre donne strillavano e piangevano. E in poco tempo, da tutti i bassi, da tutte le botteghe, da tutti i sottoscala, vennero fuori camicioline e fasce per avvolgervi la povera creaturina, e lenzuola per la povera puerpera. Una madre offrì la culla del suo bimbo morto; un’altra battezzò il bimbo, facendogli il segno della croce sul visino; una terza questuò per tutte le case del vicinato; una quarta, serva, si offrì e andò a fare il servizio per la povera puerpera. La moglie del fornaio divise il suo letto con al puerpera: e il fornaio dormì sopra una tavola per dieci giorni, avendo per cuscino un sacco. E quella miserella piangeva di emozione, ogni volta che baciava suo figlio.
“Il Ventre di Napoli” , Matilde Serao