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La canzone dell'amore perduto

Era il 1966. Beatles e Rolling Stones si dividevano le sfrenate passioni dei giovani per il mondo musicale beat. Ma tra il miagolio delle chitarre elettriche dei complessi di allora esplodeva in controtendenza una canzone d'amore, assolutamente dissonante rispetto al gusto musicale di quella generazione. Addirittura l'inizio era un assolo di tromba che proponeva l'Adagio in Re maggiore per tromba, archi e continuo di George Philippe Telemann , compositore del XVIII secolo, tra i padri della musica barocca.
Era “La canzone dell'amore perduto” un capolavoro di Fabrizio De Andrè per raccontare la fine di una storia, vista dalla parte di lei.
 
“Ricordi, sbocciavan le viole
con le nostre parole,
non ci lasceremo mai, mai e poi mai”....
 
un manifesto, una ballata alla malinconia della conclusione di un amore, una storia in fotocopia esistenziale per altri milioni di storie, da sempre di passaggio, di cambiamento, di crisi. Ma per quanto sia lo specchio di tanti, quella canzone racconta la fine come nessuna, rivelando quando:
 
“l'amore che strappa i capelli
è perduto ormai
non resta che qualche svogliata carezza
e un po' di tenerezza....”
 
E allora i ragazzi si lasciavano sorpassare dalla malinconia delle note di quell'assolo di tromba, strumento così da matusa che metteva da parte per un po' la ritmica mancina di Ringo Starr o i riff aggressivi di Keith Richards e riempiva le serate di pensieri, fischiettandone le note. La musica classica, territorio diverso, colpiva nel centro del cuore dei giovani del 1966, pronti a commuoversi canticchiando la fine tristemente prevedibile di tutti gli amori:
 

“ Ma sarà la prima
che incontri per strada che tu
coprirai d'oro,
per un bacio mai dato
per un amore nuovo”


(estratto da Sette- Broccoli)
 
 

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