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Tra l'ordine e il caos. Divagazioni sul Fool - Renato Oliva

<< Una donna in analisi sogna l’analista: indossa una camicia a losanghe multicolori che, come il costume di Arlecchino o di Pierrot, evoca, con il suo ordine geometrico, l’ordine che dà forma al caos.
Un paziente depresso sogna l’analista: ha in capo un berrettuccio rosso di lana, con un pompon. Gli sembra un copricapo da sci e non gli richiama alla mente alcuna associazione. Occorrerà interpretargli il sogno: ha sognato l’analista come Fool, come Matto, e gli ha imposto pertanto il “coxcomb”, il caratteristico copricapo da giullare.
Entrambi i sogni sono fausti, poiché alludono al rovesciamento del vecchio ordine costituito, alla possibile infrazione di una sterile rigidità normativa, all’apertura dell’Io all’inconscio, all’irruzione – nella sognatrice, vittima di un Animus serioso e dittatoriale, e nel sognatore, schiacciato dal Super-io – del caos; caos primordiale e vitale che, attraversato ed esplorato con la dovuta cautela insieme all’analista in veste di Fool psicopompo, potrà rivelarsi fecondo, riattivare la creatività e favorire la nascita si un nuovo ordine.
Alla funzione rivitalizzante (e antidepressiva) del Fool rimanda un altro sogno, in cui il sognatore, il cui umore malinconico è stato ancor più incupito da un lutto, sogna, la notte seguente il funerale, di partecipare a un’orgiastica festa carnascialesca animata da un giullare. La primitività del Fool, la sua contiguità all’uomo selvatico, che vive in comunione con la natura (e che compensa con la sapienza istintiva un’articolazione meno complessa delle funzioni psichiche), la sua prorompente sessualità (rappresentata dalle orecchie d’asino, dal copricapo che allude alla cresta del gallo, dalla fallicità del “bauble”, la tipica mazza del buffone) alimentano la vitalità, celebrano la vittoria sulla morte, mettono magicamente in contatto con la forza della vita che continua. L’apparentemente rozza oscenità apotropaica del “bauble” cela sottili valenze simboliche: quella mazza che culmina in una testa di buffone, quel fallo con una testa, quella testa di fallo, sposta in basso la sede dell’intelligenza e la colloca nel fallo (senza nascondere il rischio che, senza gli opportuni contrappesi, la ragione possa affogare nell’istinto), quella mazza che duplica le fattezze del buffone e gli fa da specchio insinua che il Fool è il nostro Doppio, l’Ombra matta con cui ciascuno di noi deve confrontarsi.
Il Fool, che segue il re come un’ombra, è l’Ombra del re e lo obbliga a prendere atto della sua porzione di follia; allo stesso tempo è, come nello shakespeariano “King Lear”, la coscienza del re, il quale senza la paradossale saggezza del Fool rischierebbe di essere psicologicamente e moralmente cieco e di non riconoscere di essere soggetto ai limiti impliciti nella sua natura umana. […]
Questa forma di coscienza arcaica è tipica del Fool che, pur essendo figlio del caos e soffrendo di un Io precario, esercita una funzione terapeutica sull’Io e lo rafforza. Il Fool povero di Io aiuta a strutturare il complesso dell’Io.
Il gioco del Fool: deformare e formare la coscienza, de-formarla per ri-formarla. […]
 
Il Fool attinge energia dal caos, dall’inconscio, ma rischia continuamente di cadervi, di ritornare egli stesso un grumo di caos. Il Fool è un “memento” dell’indistinto da cui veniamo e in cui possiamo ripiombare se non costruiamo il cosmo senza perdere d’occhio il caos.
Il caos, ci ricorda il Fool, non può essere rimosso. La follia del Fool è la nostra stessa follia.
 
L’universalità del Fool gli viene dal suo rappresentare la condizione umana, dal suo vivere perennemente in una situazione “borderline”, di confine. Come il costume del Fool oscilla tra l’informe e la forma formata e armoniosa, tra una confusione di pezze malcucite insieme e un ordinato disegno geometrico, così il Fool si muove come un pendolo dalla follia alla consapevolezza o, in senso inverso, dalla consapevolezza alla follia, dall’ordine al disordine o dal disordine all’ordine.
Trattando del Fool (e con il Fool), figura archetipica, non si dovrà mai scordare l’ineliminabile dualità dell’archetipo. Il Fool è caos e cosmo, stupidità e genialità, cecità e veggenza, goffaggine e grazia, pesantezza e leggerezza, ottusità“animalesca” e intelligenza animale; è la follia e la forza sanatrice che può guarirla; è “phàrmakon”, veleno o bevanda salutare a seconda della dose e del contesto.
Sempre mutante, il Fool è inafferrabile. Quando crediamo di averlo catturato, si scrolla di dosso con una capriola la definizione che lo imprigionava e si rovescia nel suo opposto. […]
 
[Come il Matto dei tarocchi, un solitario sempre in viaggio, il Fool] forse capiterà dalle nostre parti. Prepariamoci ad accoglierlo. Farà da specchio alla nostra confusione e alla goffaggine maldestra con cui affrontiamo le forze avverse di un universo inospitale il cui senso ci sfugge, getterà lo scompiglio nell’ordine che abbiamo eretto a nostra difesa, si prenderà gioco della nostra sicurezza e metterà in crisi la presunta oggettività della nostra visione del mondo, ci costringerà ad ammettere che il confine tra ordine e caos non è così netto come vorremmo e non è là dove credevamo che fosse; ma ci aiuterà anche ad attingere energia dalle nostre possibilità non sviluppate, nutrirà le nostre radici terrestri, ci insegnerà a rialzarci tutte le volte che roviniamo a terra come clowns abbattuti da colpi micidiali, darà con i suoi funambolismi ali alla nostra gravezza e con il suo riso colore ai nostri giorni.>>
 
(Renato Oliva, introduzione a William Willeford, “Il Fool e il suo scettro. Viaggio nel mondo dei clown, dei buffoni e dei giullari”, trad. di Daniela Bonelli, Bergamo, Moretti & Vitali, 1998, pp. 9-32)
 
 

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