Jesse Lieberfeld, un adolescente ebreo americano è l'ultimo autore premiato dal Martin Luther King, Jr. Writing Awards del Dietrich College, grazie ad un articolo sul proprio risveglio morale e sul suo allontanamento dal Giudaismo.
“Sono stato membro di una religione meravigliosa che permette, a coloro che vi credono, di sentire che siamo il più grande popolo del mondo, e allo stesso tempo di provarne dispiacere”,
“Anche se ho avuto la fortuna di avere genitori che non hanno cercato di obbligarmi verso un insieme di credenze, essere ebreo comporta un costante bombardamento ideologico e morale Ero costantemente stimolato ad ogni evento: festività assieme ai miei parenti.”
“Mi veniva sempre ricordato quanto fosse intelligente la mia famiglia, quanto fosse importante ricordarsi da dove eravamo venuti ed essere orgoglioso di tutte le sofferenze che il nostro popolo aveva patito per poter alla fine realizzare il sogno della società perfetta di Israele.”
“Crescendo ero sempre più preoccupato. Sentivo continuamente parlare di uccisioni di massa senza motivazioni, attacchi su strutture mediche e altre allarmanti violenze di cui non riuscivo a comprendere la ragione. ‘Genocidio’ mi sembrò essere il termine più adatto, anche se nessuno di quelli che conoscevo si sarebbero mai sognato di descrivere il conflitto in questo modo; parlavano sempre della situazione in termini scandalosamente neutrali.”
“Ogni qualvolta ne parlavo, mi veniva sempre data la risposta che le responsabilità erano su tutti e due i fronti, che nessuno doveva essere incolpato e che era semplicemente una ‘situazione difficile’.
“Avevo appena finito la seconda superiore quando compresi a pieno da che parte stavo. Un pomeriggio, mentre ero sul tram che ci riportava a casa, fu annunciata una nuova serie di omicidi, chiesi a due dei miei amici che sostenevano attivamente Israele cosa ne pensassero. ” ‘Noi dobbiamo difendere la nostra razza’, mi dissero: ‘È il nostro diritto’“.
“dobbiamo difendere la nostra razza? Mi sentii inorridito avendo capito che ero per natura dal lato degli oppressori. Ero rallineato con ai suprematisti razziali. Facevo parte di un gruppo che uccideva lodando la propria intelligenza e il proprio raziocinio. Ero parte di un inganno.
Decisi di dare una ultima opportunità alla mia religione. […] La volta successiva, presenziai a un servizio, c’era una sessione aperta di domande e risposte sui temi della nostra religione. Quando finalmente mi fu data l’opportunità di fare una domanda, chiesi: ‘Io voglio sostenere Israele. Ma come posso farlo, quando lascia che il suo esercito commette così tanti omicidi?’ Mi furono puntati addosso una serie di sguardi rabbiosi e adirati da alcuni degli uomini più anziani, ma fu il rabbino a rispondermi. ‘È una cosa terribile, non è vero?’, disse. ‘Ma non c’è niente che possiamo fare. È solo un fatto della vita.’
Sapevo, naturalmente, che la guerra non è una cosa semplice, e che noi non ammazzavamo per gioco, ma descrivere le nostre migliaia di uccisioni come un ‘fatto della vita’ era per me semplicemente troppo da accettare.”
"Ringraziai il Rabbino e feci poi una breve camminata. Da allora non ho mai più fatto ritorno. […] Se non altro, posso almeno tentare di liberarmi dal fardello di una credenza che non mi consentiva una chiara coscienza . […] Non ho intenzione di continuare a sentirmi parte di un Popolo Eletto, identificandomi in un gruppo a cui non appartengo.”