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Razzismo quotidiano

 
 
«Ma che fai, li saluti pure?»
Era passata una signora, incidentalmente zingara, che conosco da anni, perché gira sempre nel mio quartiere, e avevo risposto al suo «Buongiorno!» con un «Buongiorno a lei!». La persona con cui mi trovavo in quel momento a passeggiare, non ci voleva credere.
«Non li saluto, la saluto. Le persone sono persone,» rispondo.
«Ma quella è zingara!»
Così, semplicemente, mi sono ingerita la mia dose di razzismo quotidiano. I miei concittadini ormai non se ne rendono più conto. La generalizzazione è sempre dietro l'angolo; le persone scompaiono dietro gli stereotipi; le ragioni economiche, storiche e sociali della marginalità vengono ignorate quando non derise. Si può dire di tutto a tutti. Si può fare di tutto.
Frequento, con la mia cucciolotta, un'area cani nei pressi del Ponte del Valli, sede storica di baracche di poveracci che vivono ai margini della metropoli. Un tempo, ci vivevano gli immigrati meridionali, oggi sono Rom, cingalesi, rumeni, moldavi, senegalesi... Li circonda lo stesso disprezzo, la stessa insofferenza di allora. Non impariamo mai.
Sono arrivati a chiudere una fontanella vicino all'area, di fronte a una scuola, per ché gli "zingari", come vengono tutti indistintamente chiamati, non andassero più lì a prendere l'acqua per lavarsi. Il risultato è stato assetare ragazzini e cani: gli "zingari" vanno ad un'altra fontanella.
D'altronde, se un ministro della Repubblica, perché nera, può essere paragonato ad un orango dal vice presidente del Senato senza che ciò implichi le dimissioni immediate da una carica così prestigiosa di quest'ultimo, vuol dire che siamo proprio precipitati nell'ignominia.
Questa ignominia abbiamo tutti contribuito a costruirla, facendo finta di niente, alzando le spalle, sorridendo persino, quando ascoltiamo osservazioni razziste.
E il razzismo non è che un aspetto del degrado civile e umano della nostra società. Non è più tempo per tacere. Rischiamo di imboccare una strada di non ritorno. Chi ha coscienza, chi crede nell'umanità, chi può farlo, levi la sua voce.
 
 
 

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