C’è stato un periodo in cui l’uomo non aveva ancora inventato quella fenomenale, e per noi ora imprescindibile, tecnologia della parola che è la scrittura. Per noi scriventi di oggi è molto difficile immaginare come si vivesse allora, in una società totalmente e solamente orale, e nulla vale cercare nella memoria qualche persona conosciuta ancora totalmente analfabeta o rifarsi all’esperienza dei bambini in età prescolare: entrambe queste situazioni sono di fatto immerse in una cultura della scrittura e quindi ne fanno parte, almeno negli atteggiamenti, nelle parole usate, nei ragionamenti seppur semplici, non fosse altro che per un processo imitativo.
Fino agli anni ’50 e ’60 del secolo scorso si sono potuti studiare i comportamenti di alcune popolazioni, africane soprattutto, totalmente isolate e non ancora raggiunte dalla scrittura: oggi è sempre più difficile perché in qualche modo qualche contatto c’è stato, e già solo questo fatto cambia la predisposizione mentale dell’uomo solamente orale. Quegli studi però, uniti all’eco che le società dell’oralità hanno lasciato nei primi documenti scritti, in modo particolare i poemi epici – quelli omerici, per noi occidentali – ci hanno permesso di capire come funzionava la comunicazione nel periodo dell’ “oralità primaria”, quella prima dei sumeri, per intenderci (circa
3200 anni a C).
LE ARMI DELLA RETORICA. - Sappiamo, tra altri aspetti, che il senso dell’ “agonismo” era molto accentuato. Quando intorno al fuoco il villaggio si riuniva, oppure al mercato – oppure durante una diatriba legale – l’oratore che prendeva la parola non doveva tanto “convincere” gli ascoltatori, ma “vincere”, soprattutto se c’era un antagonista. Per ottenere questo risultato usava tutte le armi retoriche e le capacità narrative di cui era capace: impressionare il pubblico evocate, la capacità di mettere in ridicolo l’avversario. Pubblico che poi parteggiava rumoreggiando, applaudendo, assentendo a voce per quello che riteneva il più bravo. Una vera gara, dunque. Quel che resta dell’oralità. Qualcosa di ciò è rimasto nelle arringhe finali dei processi (anche se poi i giudici tengono in grande conto i documenti più che le suggestioni degli avvocati), nelle discussioni delle tesi di laurea, in molti momenti della nostra vita sociale perché, per quanto noi si viva ormai in una società decisamente influenzata dalla scrittura, e in modo particolare della stampa, siamo e saremo sempre anche una società “orale”.
A ciò si aggiunge il fatto che i media digitali portano a una comunicazione scritta, ma che nella scrittura ripropone, rivistati, alcuni elementi dell’oralità primaria. Noi scriviamo sms, whatsapp, postiamo su Facebook le nostre idee, ma quella nostra scrittura non ha più formalismi tipici della scrittura (“Caro amico” viene sostituito da un “Ciao, come va?”), che riserviamo ad altri media (la lettera). Possiamo dire che siamo in presenza di una “oralità secondaria” che non nega assolutamente la scrittura e l’invenzione della stampa, ma che vi si pone a fianco, come una ulteriore possibilità dell’inesauribile bisogno umano di comunicare. Non uguale all’“oralità primaria” quindi, perché la scrittura ormai c’è, ma simile in molti aspetti. In un contesto del genere è chiaro che inizino a prevalere linguaggi più consoni alle nuove abitudini dei riceventi: la battuta, l’esagerazione, la ribattuta, l’iperbole, anche il turpiloquio, il raccontarsi come se si fosse in un “spogliatoio maschile”, i toni forti, il linguaggio suggestivo ed emotivo.
Trump è un campione dell’ “oralità secondaria”, ma prima di lui il nostro Berlusconi lo è stato con le sue barzellette ed ora Renzi affida molto della sua comunicazione al “rilancio”: ogni volta che sente avvicinarsi qualche difficoltà propone una prospettiva ancora più ambiziosa e “promette” di più, di meglio. Proviamo a immaginare questi tre politici intorno al fuoco del nostro villaggio “globale”, sarebbero sicuramente vincenti: sanno indurre buon umore, ci fanno immaginare cose che non ci sono ancora, ci fanno sperare, parlano come noi parliamo tutti i giorni con i nostri amici, senza pudori e senza veli, sanno fare la voce grossa, anzi la “sparano grossa” e poi, si sa, che tra gli amici il più simpatico è il più spaccone. Sarebbero sicuramente “vincenti”, molto più che “convincenti”. Il linguaggio della Clinton invece è rimasto ancora molto ancorato alla pagina stampata: analitico, preciso, confutativo, freddo. Infatti l’invenzione della stampa ha permesso all’umanità la possibilità di confrontare, di soppesare, di comparare tra le pagine, di tornare indietro nel discorso di seguire punto a punto il filo del ragionamento cercando anche le incongruenze. Un testo stampato deve “convincere”, non necessariamente “vincere”.