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I migliori cervelli del posto - Stefano Benni

<< Disposti a semicerchio, quel mattino, c'erano i migliori cervelli del posto e anche qualcuno dei peggiori. Tutti insieme avrebbero cercato una soluzione per salvare il bar.
C'era il Nonno Stregone, naturalmente, con due dita di toscano che gli sporgevano dalla bocca, e la vecchia giacca color ex beige, pantaloni a saltafosso, calzini corti spaiati e sandali da legionario. Era stato grande stampatore, tipografo, zincografo e linotipista. Aveva visto il piombo mordere la carta per trasformarsi in sublime poesia e bieca propaganda. Ai suoi piedi il cane Merlot, grande dissotterratore di ossa antiche, rosicchiava un osso di lanzichenecco.
C'era il professor Micillo, preside della scuola locale e autore del Manuale di conversazione per argomenti che non si conoscono, nonché studioso e teoretico di cuccoxologia, ovvero "fisica ondulatoria degli snodi sacro-coccigei". Insomma, guardatore di culi.
Sul suo trono rotellato, ecco il decano Archimede detto Archivio, coscienza storica e filosofica del paese. Partigiano e poi sindacalista, quindi lungamente titolare di una bancarella ambulante di libri finché i chilometri e la fatica gli avevano piegato la spina dorsale. Pur malato, storpio e mezzo cieco, era vispissimo. La sedia a rotelle, da lui dotata di motore 48 Ducati, raggiungeva i trentasei chilometri all'ora ed era provvista di trombe Madcow da autocorriera. Guai a tagliargli la strada.
Al suo fianco Ispido Manidoro, operaio riparatutto, genio della manualità. Con lui il suo aiutante, Terenzio Treottanta. Anni prima aveva preso una scossa a trecentottanta volt e possedeva un solo capello, un crine lungo un metro, dondolante come l'antenna di una rana pescatrice. Durante i temporali veniva usato come parafulmine.
Grandi bicipiti e naso a tortellone, ecco Zeppa, muratore ed ex pugile, sette incontri vinti, uno pareggiato e uno perso ma arbitro all'ospedale un mese.
Poi il vigile Timoteo, detto Cardellino da quando aveva ingoiato un fischietto.
Con gli occhi chiusi ma attentissimo stava Melone, scemo del paese, che aveva una capoccia grande come una cucurbitacea ed era assai stimato come profeta. Scriveva poesie e riflessioni sui muri, sui tavoli e su ogni superficie bianca, comprese le nostre camicie. Sua era la consuetudine che da anni faceva litigare atei e credenti del paese. Andava ogni notte davanti alle stelle e guardava torvo il cielo. Interrogato sul perché, scrisse sul muro del bar:
“Tutti pregano e adorano Dio, ma le cose vanno male.
Se invece tutti insieme
facciamo capire a Dio che non siamo contenti,
o se ne va, o ne viene uno migliore.
Tutti meritiamo di più”.
Ed ecco le leggendarie donne di Montelfo.
Simona Bellini detta Bellosguardo, sarta dotata di vista acutissima. Era capace di infilare un ago anche durante una cavalcata amorosa, come raccontava il marito, il compianto Baruch. Ma era anche donna con sguardo saggio sul mondo e nostra maîtresse à penser.
Accanto a lei Carmela Culobia, esperta e fortunatissima giocatrice: aveva cominciato ad azzeccare ambi al lotto negli anni cinquanta. Aveva vinto il prosciutto, primo premio alla lotteria del festival dell'Unità, per sette anni consecutivi, tanto da essere accusata di appartenere al Kgb. Ora era passata al gratta-e-vinci, vincendo una volta su due. Chi la diceva dotata di vista a raggi X, in grado di vedere oltre la vernice da grattare. Chi la riteneva una strega, chi diceva che era nata tutta culo, da madre lavandaia e padre pantalonaio.
La sorella di Carmela, Marcella la cartolaia, sexy e odorosa di quaderni freschi e collamidina.
Maria Sandokan, moglie di Trincone Toro, donna di leggendario vigore fisico, che quando il bue si ammalò arò un campo da sola.
Gina Saltasù, vivacissima fin da piccola e poi abilissima nel saltare dentro le macchine al volo, il resto è alla vostra fantasia.
Frida Fon, la parrucchiera, inventrice del capello supercotonato, che non si sgonfia ma anzi si gonfia per una settimana, fino a triplicare di volume.
Sofronia, la grande cuoca, che riconosceva l'uovo migliore guardando negli occhi la gallina.
La sua vice Tegamina la Sfoglina, che aveva tirato a matterello sei volte la superficie del mondo.
Didone la farmacista, che si diceva avesse ucciso due mariti col Rim.
Le sue due figlie Suzy e Kathy dette le Aspirine, perché aspiravano a entrare nel mondo televisivo come veline, bombardine, ballerine o porcelline.
La maestra Tiribocchi, detta la iena.
Giorgia la Bomba, fruttivendola, grande culo e picciol capo, la pera più grande del mondo. Donna avida e affarista, moglie tiranna dell'edicolante Fefè.
Tornando agli uomini, ecco il suddetto edicolante Fefè, esperto di cassette porno anche di paesi insospettabili come il Tibet.
Il suo amico Vitale il becchino, pallido e smorto. Aveva iniziato a fare questo mestiere a sei anni e quando la mamma gli diceva: — Vitale, non mettere le mani nel naso — si riferiva al naso delle salme.
Curnacia, gommista e menagramo, che sgonfiava i copertoni con lo sguardo. Per contrappasso, marito di Culobia.
Poldo Porcello, disinfestatore derattizzatore ed esperto di miasmi, specialista della scoreggia con le unghie. Un suo peto, una volta emesso, si attaccava con le unghie al soffitto e cadeva due o tre ore dopo, con effetti inattesi e devastanti sui presenti.
Il padre di Poldo, Girolamo Porcello, ricchissimo salumiere e grossista di maiali.
Seduto in fondo, Clemente il Serpente, nullafacente benestante, usuraio e pettegolo militante.
Pur appartenendo a un bar nemico, il Bar Moka filogovernativo, appariva al Bar Sport, con perfida curiosità, ogni qualvolta c'era una discussione, un litigio, una disgrazia. Si tingeva i capelli di nero catramoso ed era profumato come il cesso di un autogrill. Qualcuno aveva suggerito di non farlo entrare al bar, ma come diceva il Nonno Stregone: — Meglio averli davanti che alle spalle.
Un po' in disparte la moglie di Clemente, Paoletta Pillola, imbottita di sedativi e sigarette, che parlava una volta all'anno.
Poi Gandolino e Nestorino, falegnami, rivali e amici.
Raffaele Raffica, agricoltore e bracconiere e alcolista insigne.
Diogene, benzinaio e poeta, autore di Il cuore fa il pieno e Amica pompa, ex marito di Frida Fon.
Salvaloca il veterinario, famoso per aver salvato una mucca con la respirazione bocca a bocca e per essere stato visto più volte in macchina in luoghi appartati con la stessa mucca, tanto che la moglie aveva chiesto il divorzio.
La moglie Pina Silvia Salvaloca, cassiera della banca.
Basettina il barbiere col suo fidanzato Baffo il fabbro.
Ovviamente, non potevano mancare due dei quattro leggendari fratelli Trincone: Trincone il Nero, proprietario del bar, e Trincone Toro, insigne agricoltore. Mancavano Trincone Carogna, attualmente alla macchia per un furto di gomme, e Trincone l'Amoroso, morto per amore, la cui foto era visibile sopra la macchina del caffè.
Poi i giovani:
Alice Salvaloca, giovane sognatrice, ingenua ma non troppo.
Belinda, mini-miss del paese, quindici anni e minigonne assai sintetiche, begli occhi azzurri e già tanti brutti neri ricordi.
Piombino, giovane orfano selvatico e romantico, nonché campione regionale di fionda.
Giango dal bel ciuffo, Bum Bum Fattanza, Bubba Bonazzi e altri fan del gruppo rural-metal Kastagna.
Pierino il pizzaiolo, gran promessa del settore.
Zito Zeppa, undici anni e già esperto manovale e fumatore di Gitanes.
Bingo Caccola e Tamara Colibrì, piccolissimi e letali tiratori con la cerbottana.
I rappresentanti degli stati esteri: Selim il Faraone, fornaio egiziano inventore della pizza al kamut, del calzone piramidale e del crostino Tormiento ai dodici peperoncini.
Il dottor Fabian, medico condotto, assai amato nella valle e teorico della medicina afro-occidentale, il cui motto era: "Se l'antibiotico non cura l'infezione, prova con la danza del leone".
Roger Nerofumo, giovane bracciante, promessa del calcio e batterista.
I fratelli Sgomberati, Nicolau, John N'dele e Abdul, così denominati perché avevano occupato centinaia di posti, da case sfitte a magazzini, da garage a funivie in disuso, ma erano sempre stati sgomberati e cacciati via. Attualmente dormivano nel castello abbandonato dei Settecanal, insieme ai fantasmi.
Poi Nastassja la badante e Nicolina la stiratrice. Mancavano il camionista polacco Karol, in trasferta a Foggia, e gli operai del cantiere.
Inoltre, dodici cani guidati da Merlot discendente di Fen il Fenomeno e i dieci gatti più autorevoli del paese.
Saetta, ex grande predatore, ora obeso Buddha.
Polifemo, guerriero monocolo che vinse in battaglia una volpe.
Gargagnau, il cui miagolio amoroso era più potente di un sassofono.
Gargaraffa, mangiatore di serpenti.
Zorro, seduttore dagli occhi di smeraldo.
Fanny, più veloce di una gheparda e gran ladra di salamini.
Teseo tripode, che sfuggì alla tagliola.
Dora la placida, che dormiva ventitré ore e nell'altra ora cercava un posto dove dormire.
Zombie, scaraventato sull'asfalto e dato per morto dieci volte.
La vecchissima Nerina, che posò nuda per Manet.
In quell'assemblea erano rappresentati varie tendenze e schieramenti, ma tutti erano d'accordo che il bar andava salvato, meno due o tre che erano spie, però si sapeva. >>
 
(Stefano Benni, “Pane e tempesta”, Milano, Feltrinelli, 2009, pp. 49 e ss.)
 

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