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Per gli estimatori dell' "Antologia di Spoon River "

Chi non conosce "Un giudice" di Fabrizio De André? "Cosa vuol dire avere un metro e mezzo di statura..." .
Sicuramente saranno in molti a sapere che il testo di quella stupenda canzone è frutto della rielaborazione di una delle liriche dell' "Antologia di Spoon River" di E.L.Masters.
Eccola, in una bella versione italiana:
 
IL GIUDICE SELAH LIVELY (Un giudice)
 
Immagina di essere alto un metro e cinquantotto
e di avere iniziato a lavorare come garzone in una drogheria
studiando legge a lume di candela
finchè non sei diventato avvocato. 
E poi immagina che, grazie alla tua diligenza 
e alla frequentazione regolare della chiesa,
tu sia diventato il legale di Thomas Rhodes, 
che collezionava cambiali e ipoteche,
e rappresentava tutte le vedove
davanti alla Corte. E che in tutto questo
ti canzonassero per la tua statura e ridessero dei tuoi vestiti
e dei tuoi stivali lucidi. E poi immagina 
di essere diventato Giudice di Contea.
E che Jefferson Howard e Kinsey Keene, 
e Harmon Whitney, e tutti i giganti
che ti avevano schernito, fossero obbligati a stare in piedi
davanti al banco e a dire "Vostro Onore" -
Beh, non pensi che sarebbe naturale
che io rendessi loro la vita difficile?
 
Uhmmm, strada facendo, m'è venuta voglia di confrontare l'originale con la canzone di De André, che è la seguente:
 
Cosa vuol dire avere 
un metro e mezzo di statura, 
ve lo rivelan gli occhi 
e le battute della gente, 
o la curiosità 
di una ragazza irriverente 
che si avvicina solo 
per un suo dubbio impertinente: 

vuole scoprir se è vero 
quanto si dice intorno ai nani, 
che siano i più forniti 
della virtù meno apparente, 
fra tutte le virtù 
la più indecente. 

Passano gli anni, i mesi, 
e se li conti anche i minuti, 
è triste trovarsi adulti 
senza essere cresciuti; 
la maldicenza insiste, 
batte la lingua sul tamburo 
fino a dire che un nano 
è una carogna di sicuro 
perché ha il cuore toppo, 
troppo vicino al buco del culo. 

Fu nelle notti insonni 
vegliate al lume del rancore 
che preparai gli esami. 
diventai procuratore 
per imboccar la strada 
che dalle panche d'una cattedrale 
porta alla sacrestia 
quindi alla cattedra d'un tribunale, 
giudice finalmente, 
arbitro in terra del bene e del male. 

E allora la mia statura 
non dispensò più buonumore 
a chi alla sbarra in piedi 
mi diceva Vostro Onore, 
e di affidarli al boia 
fu un piacere del tutto mio, 
prima di genuflettermi 
nell'ora dell'addio 
non conoscendo affatto 
la statura di Dio. 

 
Che ve ne pare? a me sembrano due cose diverse, che hanno in comune solo il tema.
La poesia di E. Lee Masters ha uno stile asciutto, oggettivo: la condanna morale nasce dai pochi fatti accennati, non c'è alcun compiacimento, alcuna superflua insistenza sull' emarginazione, di cui fu fatto oggetto il protagonista, prima di prendersi la sua beffarda rivincita.
Non che tali elementi compaiano nella bellissima canzone di De André: nessuno più di lui era alieno da certe forzature...però...però la sua canzone ha un che di ribelle, di malinconico, di amaro e struggente, al tempo stesso, che la caratterizza inconfondibilmente.
 
Inconfondibili peraltro erano (sono) tutte le sue - splendide - canzoni...
 

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